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Il “Decreto Rilancio” e la “regolarizzazione” della manodopera migrante: un mezzo passo avanti

La diffusione del contagio da COVID-19 in Italia e le misure restrittive imposte a gran parte delle attività produttive, hanno rimesso al centro del dibattito politico l’annoso ed irrisolto tema del diffuso impiego di manodopera migrante, spesso irregolare e priva di tutele contrattuali in alcuni settori cruciali come l’agricoltura, l’assistenza alla persona e il lavoro domestico.

Tra gli elementi più dibattuti del nuovo “Decreto Rilancio” – decreto legge 19 maggio 2020, n. 34, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 19 maggio 2020, contenente “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19” – vanno annoverate proprio le disposizioni dell’art. 103 relative a ciò che impropriamente è stata definita una “regolarizzazione” o addirittura una “sanatoria” per la manodopera migrante irregolare in Italia. Si tratta senza dubbio di una svolta significativa per il contesto italiano, nel quale trovano ancora applicazione norme fortemente restrittive, tra cui la legge 30 luglio 2002, n. 189 (“Bossi-Fini”) e i due recenti Decreti Sicurezza a firma dell’ex Ministro dell’Interno Salvini. La portata dell’art. 103 va però ridimensionata e circoscritta. Si tratta infatti di un provvedimento assai limitato nel tempo, nei destinatari e probabilmente anche nell’efficacia.

In attesa di poter comprendere meglio la sua portata operativa a seguito dell’emanazione dei decreti attuativi da parte del Ministero dell’Interno, si può già dire che le domande di emersione potranno essere presentate soltanto dal 1 giugno al 15 luglio 2020, riguarderanno esclusivamente alcuni settori lavorativi (agricoltura, allevamento, zootecnia, pesca e acquacoltura, assistenza alla persona, lavoro domestico) e saranno di due tipologie:

  • Il comma 1 favorisce l’emersione di rapporti di lavoro irregolari. In questo caso i datori di lavoro (italiani o stranieri) avranno la facoltà di presentare istanza per concludere il contratto di lavoro subordinato a favore di cittadini stranieri presenti sul territorio italiano, ma privi di un regolare permesso di soggiorno. I cittadini stranieri dovranno essere stati sottoposti a rilievi foto-dattiloscopici prima dell’8 marzo 2020 e produrre una dichiarazione di presenza (ai sensi della L. 68/2007) o una documentazione di data certa proveniente da organismi pubblici, e non aver lasciato l’Italia dall’8 marzo 2020. I datori di lavoro dovranno versare un contributo di 500 euro per ciascun lavoratore e pagare un contributo forfettario per le somme dovute a titolo retributivo, contributivo e fiscale.
  • Il comma 2 prevede invece, per i cittadini stranieri, la possibilità di richiedere un permesso di soggiorno temporaneo, valido solo nel  territorio  nazionale,  della durata di sei mesi, nel caso in cui sussistano i seguenti requisiti: devono essere in possesso di un permesso di soggiorno scaduto dal 31 ottobre 2019, risultare presenti in Italia, senza essersi mai allontanati dall’Italia, alla data dell’8 marzo, e devono dimostrare di aver svolto attività lavorativa prima del 31 ottobre 2019, nei settori di sopraccitati. Tale permesso potrà essere convertito in permesso di lavoro nel caso in cui il cittadino, allo scadere dei 6 mesi, esibisca un regolare contratto.

Sono previste poi alcune clausole di inammissibilità per istanze presentate da datori di lavoro e lavoratori che siano stati condannati negli ultimi 5 anni, anche con sentenza non definitiva, per reati tra cui “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”, intermediazione illecita (“caporalato”) e sfruttamento lavorativo, nonché, per i cittadini stranieri, per i reati inerenti gli stupefacenti.

Nel complesso si tratta quindi di un provvedimento importante, ma ancora molto circoscritto e limitato, se non addirittura limitante che rischia di favorire l’emersione dello sfruttamento lavorativo solo per pochissimi e di non riuscire ad invertire logiche ed interessi che violano la dignità dei lavoratori e, in particolare, della manodopera migrante, in numerosi settori produttivi (oltre a quelli citati nell’art. 103). Basti pensare che il primo “Decreto Salvini” ha abolito, il 4 ottobre 2018, il permesso per motivi umanitari di cui in Italia beneficiavano gran parte dei richiedenti asilo. Tale provvedimento ha generato un forte incremento di cittadini stranieri irregolari in Italia. Il fatto che oggi si preveda una possibile regolarizzazione solo per migranti che, al netto di tutti gli altri requisiti citati, siano privi di un permesso di soggiorno da non prima del 31 ottobre 2019, è emblematico di come questo provvedimento sia ancora frutto di un compromesso politico molto combattuto e di come vada quindi letto con speranza, ma non ancora con soddisfazione.

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