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La Corte di Cassazione sul concetto di inesistenza soggettiva della prestazione

La Cassazione (sent. n. 10916 del 1.4.2020) ha confermato la penale responsabilità del legale rappresentante della società utilizzatrice di una fattura relativa, in realtà, a prestazioni eseguite nei confronti di soggetti privati, tornando a chiarire il concetto di inesistenza soggettiva della prestazione.

Infatti, l’inesistenza soggettiva sussiste sia nel caso (assai più frequente nella prassi, si pensi alle frodi carosello) in cui il soggetto emittente la fattura sia diverso da quello che ha reso la prestazione; sia nel caso in cui invece è il soggetto che ha ricevuto la fattura ad essere diverso da quello che, in concreto, ha beneficiato della prestazione.

La vicenda all’esame della Corte, in estrema sintesi, era la seguente: la società Z aveva eseguito lavori di ristrutturazione presso le abitazioni private di Tizio e Caio ma le rispettive fatture (che, peraltro, recavano descrizioni di attività in parte diverse da quelle effettivamente eseguite) erano state emesse nei confronti delle società di capitali A e B, che avevano in concreto effettuato il pagamento, dedotto i costi e detratto la relativa IVA. Nel respingere le doglianze difensive, la Corte ha precisato che a nulla rileva il fatto che tali società utilizzatrici abbiano, in concreto, effettuato il pagamento delle fatture in quanto la discrepanza soggettiva tra beneficiario della prestazione e utilizzatore della fattura impedisce a quest’ultimo di detrarre l’IVA versata.

La decisione si segnala in primo luogo perché affronta una casistica poco esplorata dalla giurisprudenza, sebbene frequente nella prassi (si pensi a) tutti quei casi in cui l’IVA versata, diversamente, non sarebbe “recuperabile”.

Ma anche perché riguarda un’ipotesi che, in astratto, alla luce della riforma realizzata con il D.Lgs. 124/2019, potrebbe anche comportare la responsabilità amministrativa dell’ente ai sensi del nuovo art. 25-quinquiesdecies D.Lgs. 231/2001.    

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