Foto di minori online: senza consenso si configura (anche) un’ipotesi di reato

La Corte di cassazione con la sentenza n. 29683 del 25 agosto 2025 ha confermato la condanna di un agente della Polizia di Stato per, tra gli altri, il reato di trattamento illecito di dati personali ex art. 167 D.lgs. 196/2003 (“Codice della privacy” o “Codice”), in relazione alla pubblicazione su un gruppo Facebook della fotografia della figlia minore della persona offesa, utilizzata in un contesto denigratorio del nucleo familiare e senza alcun consenso. Gli altri reati accertati sono stati accesso abusivo a sistema informatico, diffamazione aggravata e minaccia. Si è specificato, in particolare, che il “nocumento” necessario al fine di integrare il reato di trattamento illecito di dati personali, di cui all’art. 167 del Codice della privacy, si sostanzia anche nella pubblicazione della fotografia ritraente un minore su un gruppo Facebook benché fosse usata come immagine profilo di Whatsapp della persona offesa.
I fatti di causa
La vicenda prende le mosse da un gruppo Facebook denominato “Gym Lemon”, frequentato da appassionati di culturismo, all’interno del quale l’imputato e la persona offesa avevano intrattenuto per mesi un fitto scambio di messaggi offensivi e denigratori. Dopo che la persona offesa aveva pubblicato una fotografia dell’imputato nudo, quest’ultimo – agente della Polizia di Stato – aveva ottenuto da una collega l’indirizzo della persona offesa, ricavato illecitamente dalla banca dati dell’ACI, per inviargli una diffida. In seguito, l’imputato aveva pubblicato sul gruppo Facebook la foto del profilo Whatsapp della persona offesa, che lo ritraeva insieme alla propria figlia minore, accompagnandola con espressioni minacciose e denigratorie. Tali condotte avevano dato luogo ai reati oggetto di condanna, confermata in appello e poi in sede di legittimità.
La Corte d’Appello di Bologna aveva ritenuto l’immagine “non pubblica”, in quanto tratta da un profilo WhatsApp visibile solo a una cerchia ristretta di contatti, e aveva condannato l’imputato per trattamento illecito di dati personali e diffamazione aggravata.
La motivazione della Cassazione penale
Nel rigettare integralmente il ricorso la Cassazione ha riaffermato che la fotografia di un minore costituisce dato personale ai sensi dell’art. 4, par. 1, n. 1 del GDPR e, quando idonea a identificarlo direttamente o indirettamente, è soggetta a un regime di protezione rafforzato. Il consenso al trattamento dei dati di un minore – in particolare alla diffusione di immagini online – deve provenire da entrambi gli esercenti la responsabilità genitoriale, ai sensi dell’art. 8 del GDPR e dell’art. 2-quinquies del Codice, e deve essere espresso, informato e specifico per la finalità di diffusione. Nel caso di specie, la condotta dell’imputato è risultata radicalmente priva di base giuridica, poiché l’immagine era stata acquisita senza il consenso dell’interessato o dei genitori; inoltre, la finalità di pubblicazione non era lecita né compatibile con alcun interesse legittimo, ma diretta a ledere la dignità e l’onore altrui e, da ultimo, l’immagine ritraeva una persona minore d’età, in un contesto potenzialmente lesivo per la sua identità personale e del suo contesto familiare.
La Corte ha inoltre precisato che il nocumento richiesto dall’art. 167 del Codice non richiede un pregiudizio economico, ma può consistere anche in un danno non patrimoniale o morale, derivante dalla sola lezione del diritto alla riservatezza. Richiamando la giurisprudenza della Cassazione, la sentenza sottolinea che la semplice pubblicazione, senza consenso, di un’informazione personale (come un numero di telefono o un’immagine privata) su una piattaforma digitale costituisce di per sé un trattamento illecito produttivo di nocumento, poiché espone la persona a una potenziale diffusione incontrollata dei propri dati. Nel caso in esame, la pubblicazione della fotografia della figlia minore, accostata a commenti denigratori e minacce al genitore, ha determinato un’offesa evidente alla sfera morale e relazionale del nucleo familiare, sufficiente a integrare il requisito del nocumento.
La Corte ha inoltre escluso che la provocazione o la “reciprocità delle offese” potessero giustificare o attenuare la condotta criminosa relativamente al reato di minaccia e trattamento illecito di dati personali. Richiamando la costante giurisprudenza, la Cassazione ha ribadito che non può essere riconosciuta la provocazione “per accumulo” quando le offese sono state vicendevoli e reiterate, poiché in tal caso entrambi i soggetti versano in una situazione di illiceità, incompatibile con la scriminante. Pertanto, anche la tensione e il clima di ostilità nel gruppo social non escludono la responsabilità penale per la diffusione di dati personali di un minore.
Conclusione
La pronuncia della Cassazione conferma un orientamento rigoroso in materia di tutela penale dei dati personali dei minori, ribadendo che la mera diffusione online di un’immagine che li ritrae, in assenza di consenso di entrambi gli esercenti la responsabilità genitoriale, è di per sé idonea a integrare il reato di trattamento illecito ex art. 167 del Codice della privacy.
La decisione si colloca in linea con le raccomandazioni del Garante per la protezione dei dati personali (“Garante”), che da tempo richiama l’esigenza di assicurare una tutela rafforzata dell’immagine e della riservatezza dei minori, anche rispetto a condotte apparentemente innocue, ma potenzialmente idonee a compromettere la loro l’identità digitale.
In una prospettiva distinta rispetto dal contesto esaminato dalla Cassazione, è utile ricordare che il Garante ha pubblicato un’informativa dedicata al fenomeno dello sharenting – la condivisione online, da parte degli esercenti la responsabilità genitoriale, di fotografie e contenuti riguardanti i figli minori – invitando ad evitare la perdita di controllo sull’immagine del minore e a limitare la diffusione di contenuti che possano esporlo a rischi per la sua integrità personale.
