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Update | L’Italia recepisce la Direttiva sulle pratiche commerciali sleali in materia di commercializzazione di prodot...

1. L’attuazione della Direttiva UE

Con D.Lgs. 198/2021, l’Italia ha attuato la Direttiva UE 2019/633 in materia di pratiche commerciali sleali (Unfair Trading Practices – UTP) nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare, rafforzando così il quadro normativo a tutela degli operatori B2B attivi in ambito food nel territorio nazionale.

La nuova disciplina si applica ai contratti relativi alla cessione di prodotti agricoli ed alimentari, nei quali il fornitore sia stabilito nel territorio nazionale, ad eccezione:

  1. dei contratti conclusi con i consumatori;
  2. delle cessioni con contestuale consegna e pagamento del prezzo pattuito;
  3. dei conferimenti di prodotti agricoli ed alimentari da parte di imprenditori agricoli e ittici a cooperative.

2. Il contesto e la ricaduta sotto il profilo del rispetto dei diritti umani

Il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato la direttiva sulle pratiche commerciali sleali nella filiera agroalimentare nell’aprile 2019. La direttiva è stata emanata con l’intento di proteggere gli agricoltori, le organizzazioni di agricoltori e altri fornitori più deboli di prodotti agricoli e alimentari rispetto ad acquirenti con forti leve commerciali e contrattuali, tra cui la grande distribuzione organizzata. 

La direttiva si colloca in un processo più ampio di evoluzione normativa a livello europeo, che mira a favorire la creazione di catene di approvvigionamento alimentare più efficienti, ma anche più equa. In tale contesto sono già state introdotte, attraverso il Regolamento di Esecuzione 2019/1746, la possibilità per i produttori agricoli di cooperare e organizzarsi, senza correre rischi ai sensi del diritto della concorrenza, nonché misure per migliorare la trasparenza del mercato. Inoltre la strategia Farm to Fork , alla base dello European Green Deal è finalizzata a migliorare la posizione degli agricoltori nella catena di approvvigionamento alimentare come parte della sostenibilità economica del settore. 

Nel rafforzare la posizione dei produttori e fornitori alla base della catena del valore nel settore agroalimentare, come di seguito dettagliato, la direttiva UTP e le norme di recepimento della stessa da parte degli Stati Membri, rappresentano un importante strumento nel favorire una corretta valorizzazione dei prodotti venduti e distribuiti. Questo rappresenta un punto di svolta fondamentale tanto per la tutela dei produttori in sede di contrattazione con i clienti, quanto per i diritti fondamentali dei lavoratori, italiani e stranieri, impiegati spesso in condizioni ed a retribuzioni tali da configurare vere e proprie forme di sfruttamento lavorativo. Un contesto normativo privo di efficaci tutele e criteri di valorizzazione del prezzo dei prodotti agroalimentari ha favorito infatti lo sfruttamento di manodopera, spesso migrante, anche con l’intento di comprimere al massimo i costi di produzione ed assorbire le oscillazioni incontrollate del mercato. L’attuazione della Direttiva UTP in Italia va quindi accolta con ottimismo anche per quanto concerne la tutela dei diritti umani lungo l’intera catena del valore e la creazione di una filiera agroalimentare realmente etica. 

3. I principi fondamentali

I contratti devono essere informati a principi di trasparenza, correttezza, proporzionalità e reciproca corrispettività delle prestazioni, ai quali attenersi prima, durante e dopo l’instaurazione della relazione commerciale. 

È ribadito l’obbligo di conclusione dei contratti mediante atto scritto stipulato prima della consegna dei prodotti con indicazione della durata, della quantità e delle caratteristiche del prodotto, il prezzo, le modalità di consegna e di pagamento. 

La durata dei contratti di cessione non può essere inferiore a dodici mesi, salvo deroga motivata, anche in ragione della stagionalità dei prodotti. 

4. Le principali condotte vietate

La nuova normativa vieta numerose pratiche commerciali nelle relazioni tra operatori economici, tra cui:

  1. il pagamento superiore a 30 giorni (per prodotti alimentari deperibili) o 60 giorni (per prodotti non deperibili) dalla consegna dei prodotti o dalla data in cui è stabilito l’importo da corrispondere, a seconda di quale sia successiva, salvo deroghe previste dalla norma;
  2. l’annullamento degli ordini con un preavviso inferiore a 30 giorni, salvo casi particolari che saranno individuati dal Ministero delle Politiche Agricole;
  3. la modifica unilaterale delle condizioni di un contratto relative a frequenza, metodo, luogo, tempi o volumi delle forniture, nonché norme di qualità, termini di pagamento o prezzi;
  4. la richiesta al fornitore di pagamenti non connessi alla vendita dei prodotti;
  5. la previsione di clausole contrattuali che impongano al fornitore di farsi carico dei costi per il deterioramento o la perdita di prodotti che si verifichino dopo la consegna dei prodotti;
  6. il rifiuto di confermare per iscritto le condizioni di un contratto;
  7. l’acquisizione, l’utilizzo o la divulgazione illecita di segreti commerciali del fornitore o di altre informazioni commerciali sensibili;
  8. la minaccia, da parte dell’acquirente, di porre in essere ritorsioni commerciali nei confronti del fornitore quando quest’ultimo esercita i suoi diritti contrattuali e legali;
  9. la richiesta al fornitore di risarcire il costo sostenuto dall’acquirente per esaminare i reclami dei clienti relativi alla vendita dei prodotti del fornitore, salvo risultino negligenze di quest’ultimo. 

Resta tuttavia consentita la vendita sottocosto dei prodotti alimentari freschi e deperibili nel caso di prodotto invenduto a rischio di deperibilità oppure nel caso di operazioni commerciali programmate e concordate con il fornitore in forma scritta. In caso di violazione di tali criteri, il prezzo stabilito dalle parti è sostituito di diritto dal prezzo risultante dalle fatture d’acquisto o da quello calcolato sulla base dei costi medi di produzione rilevati dall’ISMEA per prodotti similari nel mercato di riferimento. 

5. Le pratiche commerciali vietate salvo in caso di accordo tra fornitore e acquirente

Il Decreto qualifica come sleali e dunque vietate, facendo però salvi gli accordi tra le parti, purché stipulati in termini chiari ed univoci:

  1. la restituzione di prodotti rimasti invenduti senza corrispondere alcun pagamento, anche solo per lo smaltimento;
  2. la richiesta al fornitore di un pagamento come condizione per l’immagazzinamento, l’esposizione, l’inserimento in listino dei suoi prodotti o per la messa in commercio degli stessi;
  3. la richiesta al fornitore di farsi carico, in tutto o in parte, del costo degli sconti sui prodotti venduti come parte di una promozione, salvo siano specificati periodo e quantità;
  4. la richiesta al fornitore di farsi carico dei costi della pubblicità o marketing effettuata dall’acquirente;
  5. la richiesta al fornitore, da parte dell’acquirente, di farsi carico dei costi del personale incaricato di organizzare gli spazi destinati alla vendita dei prodotti effettuata del fornitore.

Qualora richieda un pagamento per i casi da (ii) a (v), l’acquirente è tenuto ad inviare per iscritto al fornitore una stima preventiva dei costi ed i criteri utilizzati per individuare tali somme.

6. Le ulteriori pratiche commerciali sleali

La nuova normativa elenca, poi, numerose ulteriori pratiche commerciali vietate tra cui:

    1. l’acquisto di prodotti attraverso il ricorso a gare e aste elettroniche a doppio ribasso; 
    2. l’imposizione di condizioni contrattuali eccessivamente gravose per il fornitore, ivi compresa quella di vendere a prezzi al di sotto dei costi di produzione (anche considerando i costi medi di produzione rilevati dall’ISMEA); 
    3. l’omissione di anche una delle condizioni fondamentali nei contratti di cessione dei prodotti alimentari (prezzo, quantità, qualità, durata, scadenza, termini di pagamento, modalità di consegna, forza maggiore); 
    4. l’imposizione, diretta o indiretta, di condizioni ingiustificatamente gravose; 
    5. l’applicazione di condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti; 
    6. il subordinare la conclusione, l’esecuzione dei contratti e la continuità e regolarità delle medesime relazioni commerciali alla esecuzione di prestazioni da parte dei contraenti che, per loro natura e secondo gli usi commerciali, non abbiano alcuna connessione con l’oggetto degli uni e delle altre; 
    7. il conseguimento di indebite prestazioni unilaterali, non giustificate dalla natura o dal contenuto delle relazioni commerciali; 
    8. l’adozione di ogni ulteriore condotta commerciale sleale che risulti tale anche tenendo conto del complesso delle relazioni commerciali che caratterizzano le condizioni di approvvigionamento; 
    9. l’imposizione di servizi e prestazioni accessorie rispetto all’oggetto principale della fornitura, anche qualora questi siano forniti da soggetti terzi, senza alcuna connessione oggettiva, diretta e logica con la cessione del prodotto oggetto del contratto; 
    10. l’esclusione dell’applicazione di interessi di mora o delle spese di recupero dei crediti; 
    11. la previsione di una clausola che imponga al fornitore, successivamente alla consegna dei prodotti, un termine minimo prima di poter emettere la fattura, fatto salvo il caso di consegna dei prodotti in più quote nello stesso mese; 
    12. l’imposizione di un trasferimento ingiustificato e sproporzionato del rischio economico da una parte all’altra; 
    13. l’imposizione all’acquirente, da parte del fornitore, di prodotti con date di scadenza troppo brevi rispetto alla vita residua del prodotto stesso, stabilita contrattualmente; 
    14. l’imposizione all’acquirente di vincoli contrattuali per il mantenimento di un determinato assortimento; 
    15. l’imposizione all’acquirente dell’inserimento di prodotti nuovi nell’assortimento; 
    16. l’imposizione all’acquirente di posizioni privilegiate di determinati prodotti nello scaffale o nell’esercizio commerciale.

7. Le buone pratiche commerciali

Il Decreto introduce inoltre alcuni esempi concreti di attuazione dei principi di trasparenza, buona fede e correttezza, indicando che rientrino in tale categoria gli accordi ed i contratti di filiera che abbiano durata di almeno tre anni nonché i contratti conformi alle condizioni contrattuali definite nell’ambito degli accordi quadro o che siano conclusi con l’assistenza delle rispettive organizzazioni professionali maggiormente rappresentative. 

Inoltre, i contratti si considerano conformi a tali principi quando sono retti, sia nella loro negoziazione che nella successiva esecuzione, dai criteri di conformità dell’esecuzione a quanto concordato, correttezza e trasparenza delle informazioni fornite in sede precontrattuale, assunzione ad opera di tutte le parti della filiera dei propri rischi imprenditoriali; giustificabilità delle richieste. 

In ottica di valorizzazione dei principi, anche a livello marketing, per la vendita dei prodotti oggetto dei contratti conformi alle buone pratiche commerciali possono essere utilizzati messaggi pubblicitari recanti la dicitura “Prodotto conforme alle buone pratiche commerciali nella filiera agricola e alimentare”. 

8. Le sanzioni

Da ultimo, il Decreto prevede un quadro sanzionatorio di particolare impatto, volto a disincentivare le violazioni da parte delle imprese della filiera, fondato sulla quantificazione degli importi in proporzione al fatturato realizzato dall’impresa nell’ultimo esercizio precedente all’accertamento (da un minimo del 3% ad un massimo del 10%, a seconda delle disposizioni violate, con aumento fino al triplo in caso di reiterazione degli illeciti). 

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