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Focus | Decreto Trasparenza: come funziona il periodo di prova?

Tra le tante novità introdotte in merito ai contratti individuali di lavoro, il Decreto Trasparenza (D.Lgs. n. 104 del 27/06/2022) ha posto in luce anche il patto relativo al periodo di prova.

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Affinché si possa condizionare la definitività di un determinato rapporto di lavoro alla verifica della sua convenienza, tanto per l’azienda quanto per il lavoratore, occorre stipulare una previsione contrattuale specifica (c.d. patto di prova). Come noto, nel corso della prova (durante la quale i diritti e gli obblighi contrattuali sono pienamente operanti e definiti), le parti possono recedere liberamente dal contratto senza obbligo di preavviso e senza l’applicazione delle tutele previste in caso di licenziamento.

Quali sono quindi i requisiti da rispettare affinché il patto di prova sia considerato valido?

Il patto di prova deve, a pena di nullità:

  • risultare da atto scritto ed essere sottoscritto da entrambe le parti;
  • essere stipulato contestualmente al contratto di lavoro o comunque prima della sua esecuzione;
  • contenere un’indicazione specifica delle mansioni che il lavoratore deve svolgere e sulle quali verrà quindi valutato (anche facendo riferimento al sistema di classificazione del contratto collettivo applicabile, se tale classificazione permette di identificare uno specifico profilo professionale);
  • rispettare i limiti di durata.

Qual è la durata massima di un periodo di prova?

Il Capo III del Decreto Trasparenza fissa la durata della prova in un massimo di 6 mesi, salva diversa previsione stabilita nei contratti collettivi: restano quindi valide le clausole dei contratti collettivi che prevedono durate inferiori. Generalmente, nella contrattazione collettiva, si è tenuto conto della complessità delle mansioni nella determinazione della durata massima della prova (per le mansioni più elementari la durata della prova è più breve, mentre per quelle a contenuto più alto, è più lunga).

Il Decreto Trasparenza ha poi precisato che, nei rapporti a tempo determinato, la durata del periodo di prova deve essere proporzionata alla durata del contratto stesso ed alla tipologia di “mansione da svolgere in relazione all’impiego”.

La norma introdotta ora, seppur già recepita da precedenti orientamenti giurisprudenziali ed alcuni contratti collettivi, pone non poche difficoltà nel momento in cui il contratto collettivo applicato dall’azienda non indica alcunché riguardo la durata della prova nei rapporti a termine.

Come individuare quindi una durata congrua della prova nel caso dei rapporti a termine? Al momento, non sussiste una regola o un criterio da applicare e che possa prevenire eventuali contenziosi. Alla luce della casistica trattata dalla giurisprudenza e delle linee così determinate, possiamo indicare che occorre necessariamente:

  • procedere ad una “parametrizzazione” della durata della prova indicata nel contratto collettivo per i contratti a tempo indeterminato rispetto alla durata del contratto a termine; per esempio, si potrebbe dividere per 12 il periodo di prova previsto nel CCNL per i contratti a tempo indeterminato, per poi moltiplicare il risultato per i mesi di durata del contratto a termine;
  • evitare che la durata della prova, seppur già ridotta rispetto ai limiti massimi, possa equivalere alla durata del contratto a termine (in tal caso, si rischierebbe infatti, sicuramente le conseguenze della nullità del patto di prova, ma si potrebbe addirittura andare incontro ad una dichiarazione di nullità dell’apposizione del termine al contratto di lavoro stesso).

Le stesse accortezze dovrebbero poi essere applicate anche in relazione ai rapporti di lavoro con orario part-time.

E’ possibile ridurre o aumentare la durata della prova stabilita ex lege ? E’ possibile rinnovare o prorogare il relativo patto ?

In regola generale, si ritiene che stabilire una durata della prova maggiore rispetto al limite dettato dalla legge o dal contratto collettivo metta il lavoratore in una posizione sfavorevole; pertanto, nel patto stipulato tra le parti, i termini previsti dalla contrattazione collettiva per la durata della prova possono essere solamente ridotti.

Pattuire una durata della prova più lunga rispetto al limite stabilito dal CCNL sarà possibile soltanto se la prova più lunga si rende necessaria in ragione della complessità delle mansioni affidate: in quel caso, si ritiene che, nel concreto, l’aumento della durata della prova sia più favorevole per il lavoratore.

Come chiarito nel Decreto Trasparenza in merito ai contratti a termine, la prova non può essere reiterata in caso di rinnovo di un contratto di lavoro per lo svolgimento di mansioni già ricoperte dal lavoratore in rapporti di lavoro precedenti: il datore di lavoro ha già avuto modo di verificare le capacità professionali, il comportamento e la personalità del lavoratore. La regola, già applicata in giurisprudenza, dovrebbe conservare le eccezioni già individuate dai giudici. Sarà quindi possibile pattuire un ulteriore periodo di prova se:

  • il nuovo rapporto di lavoro attiene a mansioni diverse;
  • sarà decorso un “apprezzabile lasso di tempo” rispetto al precedente rapporto di lavoro;
  • tra un rapporto di lavoro e l’altro, sarà mutato il contesto: sociale, lavorativo, le capacità professionali del lavoratore, le sue condizioni di salute e abitudini di vita, l’organizzazione aziendale…

Il periodo di prova è, tuttavia, prolungato proporzionalmente al periodo di assenza del lavoratore causata da eventi imprevisti non consentono l’espletamento della prova in quanto interruttivi del rapporto come la malattia, l’infortunio, il congedo di maternità o paternità obbligatori che prolungano, ex lege, in misura corrispondente alla durata dell’assenza, la durata del periodo di prova.

Quali sono le conseguenze se un patto di prova è affetto da nullità?

Se un patto di prova non rispetta i criteri indicati innanzi ai fini della sua validità, o se il lavoratore viene assegnato a mansioni diverse da quelle indicate nel patto, lo stesso è da ritenersi nullo.

Ne consegue che il rapporto di lavoro si riterrà definitivamente costituito sin dal suo inizio, per la durata e alle condizioni di cui al contratto di lavoro. Il datore di lavoro che vorrà interrompere il rapporto di lavoro ante termine dovrà quindi applicare la disciplina relativa ai licenziamenti (con conseguente onere di motivazione e riconoscimento delle tutele previste in favore del lavoratore).

Se viceversa il Giudice dovesse riscontrare che il recesso sia stato anticipato rispetto alla scadenza del periodo di prova, così da sussistere il sospetto che la prova non sia stata effettivamente compiuta, il lavoratore avrà diritto a finire la prova o ad avere una indennità corrispondente al periodo residuo.

***

L’entrata in vigore del Decreto Trasparenza e la necessità di procedere a nuove assunzioni, è l’occasione di rivedere il contenuto dei contratti individuali di lavoro. Il patto di prova è una delle clausole sulle quali occorre prestare una particolare attenzione, in quando dalla sua corretta redazione deriva la possibilità di recedere dal rapporto di lavoro, senza troppi problemi, se una delle parti si accorge che non sarebbe conveniente impegnarsi definitivamente, anche solo a tempo determinato. Occhio quindi alla redazione di questa particolare clausola.

La versione inglese dell’articolo è disponibile a questo LINK

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