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Obbligo di ricerca e salvataggio ed economia del mare

Il tema degli sbarchi sulle coste italiane, delle affannose operazioni di ricerca e salvataggio in mare e dei sempre più frequenti naufragi è ormai di quotidiana attualità. Soltanto nel 2016 sono state soccorse quasi 180.000 persone nelle acque del Canale di Sicilia. Di queste, circa il 70% sono state tratte in salvo da imbarcazioni organizzazioni non governative, Marina Militare, Guardia Costiera e Frontex. Il restante 30% si è visto invece soccorrere da navi mercantili o comunque appartenenti a soggetti privati, le quali, in forza delle norme di diritto del mare, sono chiamate ad intervenire in soccorso delle persone in difficoltà al pari delle imbarcazioni militari o governative. Quest’ultimo dato, vista anche la tragicità degli episodi, raramente emerge dalla cronaca dei fatti. Si tratta però di un tema che merita un’attenta riflessione. A causa del flusso inarrestabile di migranti provenienti dal nord Africa, l’incidenza economica oltre che operativa delle operazioni di soccorso sta infatti assumendo, soprattutto per le imbarcazioni commerciali, una portata mai vista.

Nel nostro breve approfondimento evidenzieremo gli obblighi giuridici legati al dovere di soccorso in mare, soffermandoci poi sulle connesse implicazioni di carattere economico, nonché su alcuni aspetti contrattuali di rilievo per gli armatori delle navi mercantili.

EUNAVFOR MED operazione Sophia, istituita dal Consiglio dell’Unione europea con la decisione del 18 maggio 2015 n. 778 – e ufficialmente denominata Forza navale mediterranea dell’Unione europea – è nata proprio al fine di contrastare il traffico di esseri umani nel Mediterraneo e di ridurre le situazioni di pericolo e quindi il numero delle operazioni di ricerca e soccorso in mare. L’operazione Sophia è infatti autorizzata ad adottare misure per “individuare, fermare e mettere fuori uso imbarcazioni e mezzi usati o sospettati di essere usati […] trafficanti. In particolare, la decisione n. 778 del 2015 contempla, l’obbligo di ricerca e salvataggio in mare, con un esplicito richiamo al diritto internazionale applicabile: “Le convenzioni UNCLOS, SOLAS e SAR comprendono l’obbligo di assistere le persone in pericolo in mare e di condurre i sopravvissuti in un luogo sicuro e, a tal fine, le imbarcazioni assegnate a EUNAVFOR MED saranno pronte ed equipaggiate per assolvere ai relativi compiti sotto la guida del competente centro di coordinamento del salvataggio”.

Dal bilancio del primo anno dell’operazione Sophia, è emerso un progressivo coinvolgimento nelle operazioni di salvataggio delle imbarcazioni EUNAVFOR MED, con il recupero di 3078 migranti. Numeri significativi se pur insufficienti a permettere un’effettiva riduzione del coinvolgimento di imbarcazioni private.

Per meglio comprendere la criticità del fenomeno per le navi mercantili, basti menzionare che l’obbligo di ricerca e salvataggio in mare grava sul Comandante di ciascuna nave e, dunque, rientra nella sfera di competenza dello Stato di bandiera della nave che si trova in quella situazione.                          

L’obbligo è, infatti, quello che deriva dalle convenzioni rilevanti in materia, in particolare UNCLOS, SOLAS e SAR.

Più precisamente:

  • l’art. 98 dell’UNCLOS secondo cui ciascuno Stato è tenuto a richiedere ad ogni Comandante di una nave che batta la sua bandiera, nei limiti del possibile e senza che la nave, l’equipaggio e i passeggeri corrano gravi rischi, di prestare, il più presto possibile, soccorso e assistenza a chiunque si trovi in pericolo in mare, nei limiti della ragionevolezza dell’intervento; prevedendo poi al secondo comma che gli Stati costieri creino e curino il funzionamento di un servizio permanente di ricerca e di salvataggio adeguato ed efficace per garantire la sicurezza marittima e, se del caso, collaborino a questo fine con gli Stati vicini nell’ambito di accordi regionali.
  • Le Convenzioni SOLAS e SAR, che integrano e rafforzano tali oneri a carico del Comandante, degli Stati di bandiera e degli Stati costieri. La SOLAS impone ad ogni comandante di nave che si trovi nella posizione di poter prestare assistenza, avendo ricevuto informazione da qualsiasi fonte circa la presenza di persone in pericolo in mare, di procedere con tutta rapidità alla loro assistenza, se possibile informando gli interessati o il servizio di ricerca e soccorso del fatto che la propria nave sta effettuando tale operazione. La Convenzione SAR impone invece un preciso obbligo di soccorso e assistenza alle persone in mare, a prescindere dalla nazionalità, dallo status giuridico o dalle circostanze in cui tali persone si trovano, sancendo altresì l’obbligo di sbarcare le persone soccorse in un “luogo sicuro”.

Gli individui salvati, poi, devono essere trasportati, a carico dell’armatore, in un luogo sicuro, definito come:“… a location where rescue operations are considered to terminate, and where: the rescued persons’ safety of life is no longer threatened; basic human needs (such as food, shelter and medical needs) can be met; and transportation arrangements can be made for the rescued persons’ next or final destination”.

Con l’entrata in vigore, nel luglio 2006, degli emendamenti alle convenzioni SAR e SOLAS e con le linee guida adottate in concomitanza dall’IMO si è chiarito che “Parties shall co-ordinate and co-operate to ensure that masters of ships providing assistance by embarking persons in distress at sea are released from their obligations with minimum further deviation from the ships’ intended voyage, provided that releasing the master of the ship from the obligations does not further endanger the safety of life at sea”.

Tali indicazioni non costituiscono però un vincolo cogente in sede di scelta del luogo sicuro e quindi di sbarco.  La decisione finale deve essere coordinata dal Centro di coordinamento per il salvataggio in mare (MRCC) competente per l’area in cui è avvenuto il salvataggio.

Lo Stato responsabile per la regione SAR all’interno della quale sono stati recuperati i sopravvissuti ha quindi l’onere di fornire un luogo sicuro o di assicurare che tale luogo venga fornito: i soccorritori, chiunque essi siano, hanno l’obbligo giuridico di adeguarsi, con la massima urgenza, a tale scelta.

A fronte di tali obblighi e in considerazione della crescita esponenziale del problema migranti,  non può essere di certo sottovalutato l’impatto economico che ricade in capo agli armatori e, conseguentemente, macroscopicamente considerato sulla cosiddetta economia del mare.

 

Infatti, se da un lato le navi mercantili sono oggi obbligate a prestare assistenza, ormai per un obbligo normativo, confermativo di un dovere morale, dall’altro lato occorrerà considerare che le navi coinvolte potrebbero trovarsi in estreme difficoltà nell’adempiere a tali obblighi. Infatti, da un lato segnaliamo difficoltà di tipo operativo atteso che, ai sensi della SOLAS, è fatto obbligo a tutte le navi di avere pronti a bordo piani e procedure per operazioni di soccorso, ma che tali obblighi non sono certo stati imposti per il tipo di operazioni che il soccorso ai barconi di migranti impone. Dall’altro, rileviamo potenziali rischi in termini economici considerando che le stesse navi potrebbero essere costrette a subire ingenti danni diretti e indiretti (danni al carico deperibile dovuti al ritardo del viaggio, danni materiali alla nave, ritardi a livello commerciale etc…) senza alcuna garanzia normativa in ambito di risarcimento e/o rimborso dei costi sostenuti e ciò, ancor di più, quando gli Stati coinvolti non offrano immediata assistenza.  

In considerazione della complessità tipica del contratto di trasporto di merci via mare, le figure coinvolte nell’assunzione di tali rischi potrebbero variare in relazione ai contratti sottostanti all’impiego commerciale della nave.

Più precisamente occorre considerare che vettore della spedizione può essere sia il soggetto proprietario e armatore della nave (Registered owner) o, più frequentemente, altro soggetto che abbia acquisito da questi la disponibilità commerciale della nave. Semplificando, si distinguono, in tal modo, l’armatore non proprietario che abbia stipulato con quest’ultimo un contratto di locazione a scafo nudo (bare boat charter), armando ed equipaggiando la nave e impiegandola in attività di trasporto e il noleggiatore a tempo (time charterer), che abbia acquisito la disponibilità commerciale dall’armatore ogni qual volta quest’ultimo desideri trarre un profitto dal bene nave (acquisizione del nolo), ma non voglia esercitare attività di trasporto. In questo caso l’armatore noleggiante stipulerà – tipicamente – un time charter con un noleggiatore che diventerà vettore della spedizione. Acquisita in uno dei modi suddetti la disponibilità commerciale della nave, il vettore stipulerà con il proprietario del carico (caricatore) un contratto di trasporto (voyage charter) usualmente documentato da una polizza di carico (bill of lading).

Stante la molteplicità di soggetti che potrebbero essere coinvolti nel viaggio marittimo, sembra opportuno che il rischio connesso alle operazioni di salvataggio dei migranti sia valutato e ripartito tra tutte le parti coinvolte e per fare ciò occorrerà includere nei vari contratti delle clausole ad hoc, in particolare per specificare la suddivisione delle eventuali spese.  

Tali clausole potranno essere pattuite sia nel contratto di trasporto stipulato tra caricatore-proprietario e vettore o nella polizza di carico, che nel  time charter e nel bare boat charter, oltre che in qualsiasi eventuale subcontratto della catena, anche utilizzando i più diffusi formulari a livello internazionale tra cui quelli BIMCO, di importanza mondiale.

Inoltre, occorrerà valutare, anche a livello assicurativo, la possibilità di coprire, in tutto o in parte, i rischi suddetti. 

Emiliano Giovine

Natalia Bagnato

 

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