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Il padre risarcisce il figlio per non essersi mai interessato a lui

Con l’ordinanza n. 11097/2020, la Corte di Cassazione affronta il caso di un figlio che all’età di 43 ha convenuto in giudizio il padre chiedendogli il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali derivati dalla violazione degli obblighi genitoriali.

La Corte di Cassazione, con una narrazione e motivazione approfondita, ripercorre gli arresti giurisprudenziali in tema di danno endofamiliare e di prescrizione.

Divide concettualmente il danno endofamiliare in due diverse tipologie: il danno relativo al rapporto di coniugio o di unione e il danno relativo al rapporto genitori e figli.

Nello specifico, il diritto dei figli ad essere educati e mantenuti non può limitarsi ad un mera affermazione priva di contenuto concreto. Tale diritto si sostanzia nella condivisione della relazione filiale con il proprio genitore fin dalla nascita sia ‘nella sfera intima ed affettiva, di primario rilievo nella costituzione e sviluppo dell’equilibrio psicofisico di ogni persona, sia nella sfera sociale, mediante la condivisione e il riconoscimento esterno dello status conseguente alla procreazione. (…) Si determina pertanto un automatismo tra procreazione e responsabilità genitoriale, declinata secondo gli obblighi specificati negli artt. 147 e 148 cod. civ., che costituisce il fondamento della responsabilità aquiliana da illecito endofamiliare, nell’ipotesi in cui alla procreazione non segua il riconoscimento e l’assolvimento degli obblighi conseguenti alla condizione di genitore’. (Cass. civ. 22.11.2013, n. 26205).

Nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione, il danno relativo al rapporto filiale è causato dal disinteresse del padre nei confronti del figlio, protrattosi per anni.

Secondo la Suprema Corte, l’allontanamento del padre, per un periodo significativo, dalla vita della prole, si configura come un illecito endofamiliare permanente e non ‘istantaneo’, aspetto, questo, di grande rilievo al fine del decorso della prescrizione. In sostanza, il disinteresse protrattosi per decenni eleva la condotta illecita ad un vero e proprio livello di disvalore costituzionale, non potendosi configurare come un mero disinteresse episodico, che, in quanto tale, comporterebbe solo una violazione delle norme ordinarie relative agli obblighi genitoriali.

La prescrizione decorre dal momento in cui il figlio vittima della condotta di abbandono genitoriale, si è trovato nelle concrete condizioni di esercitare il diritto risarcitorio.

Secondo la ricostruzione della Corte, per acquisire la capacità di percepire correttamente il disvalore della condotta paterna e di reagire conseguentemente chiedendo il risarcimento, occorre che il figlio vittima dell’abbandono ‘si svincoli dall’incidenza percettiva e comportamentale del notorio istintivo desiderio filiale di un rapporto positivo con il genitore’, per raggiungere una maturità personale pienamente autonoma ‘capace di percepire la reale situazione a sé pregiudizievole e di assumere reattive decisioni di contrasto con la persona ‘desiderata’. Ovvero, accettare psicologicamente la illiceità della condotta del genitore e chiedere il risarcimento dei danni subiti quale figlio rifiutato del genitore che l’ha posta in essere’.

La Corte specifica anche, in aperto contrasto con quanto deciso in sede di appello, che è del tutto irrazionale ritenere che il figlio possa non aver subito alcun danno in conseguenza del disinteresse paterno perché ‘si sarebbe a ciò abituato’. Tale asserzione, erroneamente, svuoterebbe di contenuto il diritto risarcitorio: è illogico ‘che un totale disinteresse non possa giammai provocare danni, essendo il figlio abbandonato sempre vissuto nel disinteresse del padre e quindi nulla avendo perso per non aver mai avuto nulla’.

Il ricorso del figlio viene integralmente accolto.

Una diversa sezione della Corte d’appello di Firenze è chiamata a emettere una nuova sentenza, determinando il risarcimento del danno sulla base dei principi esposti dalla Corte di legittimità.

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