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La prospettata riforma del catasto; conseguenze ed implicazioni fiscali

La tanto discussa prospettata riforma del catasto, la cui esecuzione è stata rinviata molteplici volte, sembra essere infine destinata ad essere realizzata.

Nell’atto di indirizzo per il conseguimento degli obiettivi di politica fiscale per gli anni 2021-2023, il ministro dell’Economia, Daniele Franco, ha, invero, tra le altre cose, sottolineato l’importanza di supportare le sinergie operative e attivare nuove forme di collaborazione tra l’Amministrazione finanziaria centrale e le agenzie locali, nonché favorire lo sviluppo di un sistema integrato del territorio che, mediante specifici protocolli di intesa, contribuisca a un puntuale aggiornamento degli archivi catastali, anche nell’ottica di una più equa imposizione fiscale.
Tale obiettivo potrebbe fare riferimento proprio alla riforma del catasto, che tra i suoi obiettivi ha quello di riavvicinare i valori fiscali a quelli di mercato.
La ritenuta inadeguatezza dell’attuale sistema catastale (e in particolare del sistema di calcolo del valore catastale degli immobili) si correla a numerosi fattori, tra i quali i cambiamenti delle condizioni di mercato e il mancato adeguamento dei valori catastali in relazione all’inflazione (ad eccezione che per una rivalutazione del 5%, introdotta nel 1997, e un incremento del 10% del moltiplicatore catastale).
Rammentiamo, peraltro, che il calcolo del valore di un immobile ai fini fiscali (ivi incluso ai fini dell’applicazione delle imposte di Successione e Donazione) ad oggi si basa sulla relativa rendita catastale, cioè il calcolo ipotetico di quanto si potrebbe ritrarre dall’eventuale locazione dell’immobile nonché che la superficie dell’immobile, che contribuisce al calcolo complessivo, si conteggia in virtù del numero di vani catastali e non avendo a riferimento i metri quadrati.
L’impianto della riforma – per come allo stato ipotizzata – prevede che il valore patrimoniale medio degli immobili sia stabilito in relazione al valore di mercato espresso in metri quadrati nonché che la rendita catastale sia calcolata con metodologie analoghe a quelle per il valore patrimoniale, ma incentrate sul valore locativo espresso in metri quadrati.
Quanto ne consegue è un possibile maggiore peso fiscale sui contribuenti, atteso che sia l’IMU (Imposta Municipale Unica o Imposta Municipale Propria), sia l’imposta di Registro, ma anche l’imposta sulle Successioni e Donazioni prendono a riferimento (anche) il valore catastale degli immobili.
In merito all’IMU (allo stato non gravante sulla c.d. “abitazione principale” salvo che si tratti di un’unità abitativa classificata nelle categorie catastali A/1, A/8, A/9, sui fabbricati costruiti e destinati alla vendita da parte dell’impresa costruttrice –  id est i c.d. “beni merce”, sui fabbricati rurali ad uso strumentale né sulle aree fabbricabili e i terreni agricoli), ricordiamo che il valore catastale dei fabbricati ai quali tale imposta si applica (per come stabilita in base alle aliquote di anno in anno risultanti da apposita delibera comunale, nel rispetto di determinati parametri nazionali) viene quantificato moltiplicando la rendita catastale rivalutata del 5% per il coefficiente corrispondente a quello del gruppo / della categoria catastale di riferimento.
Con riferimento all’imposta di Registro, il valore catastale degli immobili rileva quale base imponibile, da moltiplicarsi per il coefficiente di 126 e poi per 9%.

La rivalutazione dei valori catastali condurrebbe, quindi, ad una riduzione dello spazio di applicazione dell’eventuale franchigia e ad un conseguente incremento della base imponibile su cui applicare l’imposta di Successione e Donazione, fermo restando che fintantoché non interverrà una riforma dell’imposta di Successione e Donazione la competitività fiscale del nostro Paese sotto tale profilo non ne verrà significativamente impattata.

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