Dal volere al dovere: perché serve una motivazione solida per l’appello?

La Corte d’Appello di Milano ha chiarito che per impugnare una decisione non basta dichiarare di volerlo fare: servono motivazioni concrete e precise che confutino le ragioni della sentenza di primo grado.
Nel caso esaminato, perché l’appello è stato dichiarato inammissibile?
Con sentenza n. 1968 del 1 luglio 2025, la Corte di Appello di Milano – Sezione III civile ha nuovamente evidenziato come, affinché un capo di sentenza possa ritenersi validamente impugnato, non sia sufficiente che nel gravame sia manifestata la volontà in tal senso.
Secondo i Giudici di secondo grado, infatti, “occorre, al contrario, l’esposizione di una parte argomentativa che, contrapponendosi alla motivazione della sentenza impugnata, con espressa e motivata censura, miri ad incriminarne il fondamento logico-giuridico”.
Nel caso esaminato, è stato rilevato il difetto di specificità dell’impugnazione, che non si rapportava con la decisione impugnata.
Infatti, l’appellante, società asseritamente cessionaria di un credito, non era stata in grado di dimostrare, nel processo di primo grado, la titolarità attiva del credito medesimo, in quanto la descrizione del predetto credito era stata ritenuta, dal Giudice di prime cure, generica e priva di una precisa individuazione.
La Corte d’Appello di Milano ha rilevato che, anziché “impugnare tale statuizione, confrontarsi con la dettagliata e puntuale motivazione e spiegarne, in modo altrettanto analitico, l’erroneità”, l’appellante “si è limitata, in modo del tutto generico, a prospettare l’assenza di contestazioni e a richiamare i documenti prodotti” oltre che “a riproporre le osservazioni difensive proposte in primo grado”.
Sicché l’impugnazione è stata dichiarata inammissibile, non contenendo una valida individuazione delle questioni e dei punti contestati nella sentenza di primo grado e, con essi, delle relative doglianze e non affiancando, alla parte volitiva, una parte argomentativa che fosse in grado di confutare e contrastare le ragioni addotte dal primo Giudice.