Il futuro del litigation finance negli USA, tra trasparenza e controllo dei funder

Negli Stati Uniti, il litigation finance — il finanziamento dei contenziosi da parte di soggetti terzi — è ormai una realtà consolidata, con un mercato che supera i 15 miliardi di dollari di asset gestiti e operatori come Burford Capital e Parabellum che muovono capitali paragonabili ai fondi di private equity. Ma la crescita di questo settore, ancora largamente privo di regolamentazione specifica, sta attirando l’attenzione di legislatori e giudici, che temono possibili interferenze dei finanziatori sulle scelte processuali delle parti.
Un recente studio pubblicato sulla Harvard Business Law Review da Cosimo L. Fabrizio e Harshit Patel (“Litigation Finance Under Scrutiny: Navigating Mandatory Disclosure and Risks of Funder Influence”) affronta proprio questo tema: l’equilibrio tra trasparenza, indipendenza delle parti e tutela del mercato.
Un settore in espansione ma sotto osservazione
Negli ultimi anni, diversi Stati americani hanno introdotto obblighi di disclosure riguardo alla presenza di finanziatori esterni nelle cause civili. Il Wisconsin è stato il primo, nel 2018, a imporre la comunicazione dei contratti di litigation funding; la Louisiana ha seguito nel 2024, con norme che vietano ogni forma di influenza dei funder sull’andamento del giudizio. Sul piano federale, il Congresso sta valutando il Litigation Transparency Act of 2024, che obbligherebbe le parti a rivelare al giudice e alle controparti i dettagli di eventuali accordi di finanziamento.
Il tema è diventato anche una questione di sicurezza nazionale, dopo che alcune inchieste hanno segnalato casi di finanziamenti provenienti da soggetti legati a governi stranieri, come la cinese PurpleVine IP o società riconducibili ad oligarchi russi.
Il caso Sysco-Burford: un test per i limiti del funder
L’articolo cita come esempio emblematico la controversia tra Sysco Corporation e Burford Capital, nata da un contratto di finanziamento di oltre 140 milioni di dollari relativo a un’azione antitrust contro alcuni fornitori di carne. Quando Sysco ha tentato di accettare un accordo transattivo senza il consenso del funder, Burford ha fatto valere una clausola contrattuale che ne limitava la libertà di disporre dei propri crediti, ottenendo un arbitrato favorevole.
Il caso è stato presentato da alcuni policy maker come prova dei rischi di un’eccessiva ingerenza dei finanziatori. Tuttavia, gli autori evidenziano come la vicenda sia più complessa: il diritto di veto di Burford era stato introdotto solo dopo che Sysco aveva violato il contratto originario, e la società restava comunque assistita da consulenti esperti e soggetta a vincoli fiduciari e deontologici. In altre parole, il rischio di “controllo occulto” appare più teorico che reale.
Disclosure sì, ma con misura
L’articolo invita a evitare generalizzazioni eccessive: imporre obblighi di trasparenza troppo ampi potrebbe avere effetti controproducenti, disincentivando investimenti legittimi e rallentando il contenzioso. Gli autori ricordano il caso della causa Petersen Energia v. Argentina, in cui il governo argentino tentò di usare la presenza di un funder (Burford) come arma processuale, salvo essere smentito dal giudice, che ribadì come il finanziamento non incidesse sul merito della causa.
Una soluzione equilibrata, secondo lo studio, potrebbe essere quella di prevedere forme di disclosure “in camera”, riservate al giudice, per bilanciare trasparenza e riservatezza strategica.
Una riflessione anche per l’Europa e l’Italia
Le conclusioni della Harvard Business Law Review trovano eco anche nel dibattito europeo, dove la Commissione ONU per il diritto commerciale internazionale (UNCITRAL) e la Commissione Europea stanno valutando regole comuni sul third-party funding nelle controversie civili e arbitrali. Il rischio, sottolineano Fabrizio e Patel, è che un eccesso di regolazione finisca per frenare l’accesso alla giustizia e soffocare l’innovazione finanziaria.
Il tema della trasparenza nel litigation funding è oggi di grande attualità anche in Italia, dove il settore sta muovendo i primi passi e attira l’interesse di investitori e studi legali. Come emerso nel recente Convegno “Third Party Litigation Funding – Esperienze e Opportunità nel sistema Italia”, organizzato da RP Legal & Tax a Milano, è fondamentale sviluppare un quadro regolatorio capace di tutelare l’integrità del processo senza penalizzare un meccanismo che può ampliare l’accesso alla giustizia e rendere più efficiente la gestione del rischio legale. Un equilibrio che, come mostra l’esperienza americana, richiede attenzione, competenza e pragmatismo, più che norme generaliste o sospetti ideologici verso la finanza applicata al diritto.
