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Arte Contemporanea e tutela del diritto d’autore

 

La vendetta degli street artists

È opinione comune tra i non addetti ai lavori che la difesa del diritto di autore degli street artists sia un paradosso. Ci troviamo troppo spesso di fronte a graffiti illegittimi che imbrattano mura pubbliche o private che la mente genera immagini e pensieri reattivi legate agli strumenti per eliminare i graffiti dalle nostre strade e “punire” gli autori.

Al di fuori dei casi degli “imbrattatori” che si concentrano di solito sulle loro passioni calcistiche o politiche o sula rappresentazione falsata delle loro preferenze sentimentali c’è un mondo di writers ce reclamano una collocazione tra gli artisti e che pretendono di reclamare la “purezza” della propria forma d’arte con radici nelle opere di autori noti e quotati come Keith Haring e Jean-Michel Basquiat

Una classe di artisti  che è cresciuta tra la pop- art e la cultura hip-hop per adattarsi poi al mondo del web e dei social network nell’iper-pop che si fa conoscere come writers ed utilizza -almeno inizialmente- gli spazi urbani e suburbani e il canone estetico della bomboletta spray per approdare alla comunicazione diffusa, ai bootleg musicali, gli stickers, gli stencil e alle tante forme di recupero o “arredo” urbano presenti ormai ovunque nelle città di oggi, sui manifesti, nelle strade e nell’abbigliamento.

Molti tra gli street artists sono già entrati a pieno titolo nel canale ufficiale dell’arte, quello fatto di mostre di esposizioni di galleristi, di contratti,  di vendite ecc, pur continuando a lavorare attivamente anche in strada, ed hanno raggiunto una qualche notorietà. Come spesso accade sono quelli che provengono e operano nel mercato statunitense.

È da loro che giunge la nuova provocazione al mondo del diritto e della protezione del copyright. E’ di qualche giorno fa, infatti la notizia che Terry Gillian, il visionario membro del folle gruppo dei Monthy Python poi approdato ala regia di film arcinoti come Brazil,  La leggenda del re pescatore (The Fisher King),  L’esercito delle 12 scimmie, Paura e delirio a Las Vegas e tanti altri è stato chiamato in giudizio da alcun street artists per aver utilizzato fondali ed ambientazione nella sua ultima opera cinematografica “The Zero Theorem” che in maniera non dubbia riproducono murales di tre noti street artist presenti nella zona dei graffiti a Buneos Aires ed il cui copyright era stato registrato a Buenos Aires sotto il nome dei murales del “Castillo”.

Siamo di fronte ad un nuovo tema di protezione del copyright quello già noto della “citazione” all’interno di un opera artistica ( il film di Gilliam) di un’altra opera artistica ( il murales del Castillo) ove in qualche modo l’opera che “cita” prende valore dall’opera citata e quindi deve richiedere al copyright holder diritto di utilizzazione.

Quella dello sfruttamento non autorizzato dei murales ai fini commerciali non è una novità, soprattutto negli Stati Uniti sono molti i precedenti spesso legati a pubblicità che utilizzano come sfondo o scenario quello di grafiti e murales senza aver preventivamente ottenuto autorizzazione o licenza dall’autore.

È il caso della nota marca di abbigliamento sportivo American Eagle Outfitters che ha riconosciuto alcune centinaia di migliaia di dollari subito allo street artist AholSniffsGlue  per aver utilizzato un suo noto murale come sfondo per foto pubblicitarie della sua collezione.

L’aspetto più intrigante ed innovativo della nuova causa quella contro l’autore e regista Terry Gilliam sta nel tentativo di definizione di confine tra arte e arte dove un artista utilizza o si richiama ad un’altra opera d’arte non per plagiarla o semplicemente replicarla ma per costruire anche con l’aiuto della prima opera una nuova opera d’arte che magari sia in forma diversa o veicolata ( come il film di Gilliam) su un supporto diverso da quello dell’opera originale.

Il tema della “citazione “ dei contenuti di un’opera d’arte in Italia sembra – quantomeno sulla carta- inquadrato in uno stretto o strettissimo recinto. La legge prevede alcuni casi particolari in cui si riconosce -parziale- libero utilizzo di opere protette dal diritto d’autore. E’ il caso della riproduzione parziale o riassuntiva dei tuoi contenuti a scopo di RECENSIONE, INFORMAZIONE, CRITICA, DISCUSSIONE.  Chi si avvale di questo “diritto di Citazione” non deve farlo per fini commerciali che siano in concorrenza con gli eventuali fini commerciali dell’autore e deve in ogni caso indicare con esattezza l’autore  e l’opera citata  l’altro caso ammesso è quello dell’uso personale del fruitore che ad esempio fotografa un opera o ne salva o stampa una sua immagine al fine di poterla visionare o apprezzare in momenti diversi da quello della fruizione diretta. Anche inquesto caso, però, l’assenza di autorizzazione da parte dell’autore o del copyright holder esclude qualsiasi tipo di ripubblicazione o riutilizzo dell’immagine sia a scopo di lucro sia in assenza di un fine speculativo e in ogni caso non da diritto ad utilizzare il contenuto  parte del contenuto dell’opera per formare un nuovo oggetto o una nuova opera  o una nuova forma di espressione fondato sull’opera altrui.

A un operatore del diritto questo stretto recinto sembra bastare. Ma cosa dire quando opere artistiche, letterarie, cinematografiche sono o diventano in maniera diretta o indiretta la fonte di ispirazione di una nuova opera d’arte o di una evoluzione dell’opera originale? Cosa accade poi quando le rappresentazioni e le forme artistiche sono condivise in rete sui social network e in special modo quelle che nascono con potenzialità interattiva sono via via contaminate modificate dall’intervento del fruitore l’utilizzatore? Dov’è il confine (proteggibile o tutelabile) dell’opera originale e dove questo confine scompare per divenire patrimonio di tutti  shareware?

L’arte evolve a velocità irregolari spesso impressionanti. Il diritto rincorre, non senza affanno.

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