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Focus | Orario di lavoro: regole fondamentali, potenziali deroghe e tutele inderogabili

In un periodo storico nel quale si parla molto di “work-life balance” come il concetto costituisse una novità, è bene ricordare che le regole fondamentali, le potenziali deroghe e le tutele inderogabili rispetto all’orario di lavoro sono temi ampiamente affrontati in ambito Labour.

In questo articolo riepiloghiamo alcuni punti fondamentali di questo grande capitolo.

La versione inglese dell’articolo è disponibile a questo LINK

Quali indicazioni fornisce la legge in materia di ritmi di lavoro?

L’attività lavorativa deve necessariamente essere svolta nel rispetto di limiti di orari e delle necessità di riposo di ciascuno.

In termini di orari, la legge indica che:

  • la prestazione giornaliera non può eccedere 13 ore e
  • la prestazione settimanale non può superare 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario (si tratta dell’orario massimo, da non confondere con l’orario normale, generalmente fissato in 40 ore settimanali).

In termini di riposo, al lavoratore, viene riconosciuto:

  • una pausa di almeno 10 minuti consecutivi, quando l’orario di lavoro giornaliero supera 6 ore;
  • un riposo giornaliero, pari a 11 ore consecutive ogni 24;
  • un riposo settimanale (di regola coincidente con la domenica), pari a 24 ore consecutive ogni 7 giorni, cumulato con le ore di riposo giornaliero.

Le tutele stabilite a favore del lavoratore sono di primaria importanza: a livello nazionale, l’art. 36 della Costituzione riconosce l’irrinunciabilità del diritto al riposo mentre, a livello europeo, la Carta dei diritti fondamentali e la Direttiva 2003/88/CE sanciscono il diritto di ciascun lavoratore ad una limitazione della durata massima del lavoro ed a periodi di riposo giornaliero e settimanale. In tal senso, il datore di lavoro è investito di una specifica responsabilità contrattuale, fissata dall’art. 2087 del Codice civile, di garantire condizioni di lavoro idonee a preservare la salute degli addetti (vd. Cass. n. 34968/2022).

 

Ci sono margini di flessibilità?

Riguardo l’organizzazione degli orari, fermi restando i limiti di durata del lavoro, è ammessa la stipula di accordi specifici, anche nel contratto di lavoro individuale, volti ad organizzare l’orario di lavoro giornaliero, settimanale, mensile o annuale (ad esempio, a seconda delle esigenze, potranno essere stabiliti orari fissi o elastici, indicando nel contratto o gli orari puntuali di inizio e fine del lavoro o delle fasce orarie in entrate e in uscita).

Si potrà anche far applicazione del c.d. orario multiperiodale, disciplinato dai CCNL: in questo caso, l’orario settimanale sarà calcolato come media su un periodo non superiore all’anno; pertanto, a seconda delle variazioni di lavoro e delle esigenze della produzione, vi saranno settimane in cui l’orario normale di lavoro potrà essere inferiore alle 40 ore mentre vi saranno altre settimane in cui tale soglia sarà superata, senza che il superamento sia considerato lavoro straordinario (in quel caso, le ore prestate in più su una determinata settimana saranno recuperate tramite periodi di riduzione oraria su altre settimane).

Per l’organizzazione delle pause, il datore di lavoro può liberamente decidere del momento di fruizione delle pause tenendo conto delle esigenze tecniche dell’attività.

Per quanto riguarda la fruizione dei riposi, deroghe alle regole ordinarie possono essere stabilite dalla legislazione specifica applicabile ad alcuni settori di attività o dai contratti collettivi stipulati a livello nazionale, con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative. Ad esempio, si osservano deroghe alla consecutività delle ore di riposo giornaliero, in caso di attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata o da regimi di reperibilità, deroghe alla coincidenza del riposo settimanale con la domenica, per attività e servizi il cui funzionamento domenicale corrisponde ad esigenze tecniche, ovvero soddisfi interessi rilevanti per la collettività o siano di pubblica utilità.

 

Tali parametri possono essere ulteriormente derogati se il lavoratore presta il suo consenso o se il datore di lavoro paga un supplemento rispetto alle maggiorazioni?

Recentemente, il Giudice del lavoro del Tribunale di Milano ha trattato il caso di un lavoratore che lamentava di aver prestato servizio per diversi mesi, tutti i giorni, per 15 ore al giorno, con una pausa di solo mezz’ora. È emerso dall’istruttoria che il lavoratore avesse espresso il proprio consenso e ricevesse un compenso maggiorato per il lavoro prestato oltre l’orario massimo previsto. Ciò nonostante, il Giudice ha riconosciuto che il lavoratore avesse patito un danno da usura psico-fisica, condannando il datore di lavoro al risarcimento (Trib. Milano, Sez. Lavoro, del 8.08.2022).

Ricordiamo che solo il trattamento più favorevole al lavoratore può essere contrattualizzato senza particolari formalità (anche con uso aziendale), mentre le rinunce ai diritti sono sempre e necessariamente oggetto di specifici vincoli di forma. Il consenso del lavoratore ad oltrepassare i limiti stabiliti dalla normativa non è quindi sufficiente. Ogni deroga alla disciplina stabilita, che come tale si presume meno favorevole per i lavoratori, dovrà necessariamente essere stata oggetto di idonea tutela, verificando che venga associata un’idonea compensazione e protezione ai lavoratori (quindi dovrà passare attraverso la stipula di specifici accordi collettivi, a livello territoriale o aziendale, con l’intervento delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale).

 

Che cos’è il “superlavoro”? Cos’è il danno da usura psicofisica?

Il “superlavoro” si configura quando il lavoratore presta la propria attività oltre i limiti della normale tollerabilità, secondo le regole della comune esperienza (nel caso esaminato dalla Cass. 8267/1997, l’eccessivo impegno era stato caratterizzato nel caso di un lavoratore che aveva svolto ore di lavoro straordinario continuativamente e rinunciato alle ferie, nonostante il medesimo vi avesse prestato consenso).

Il danno da stress o usura psicofisica è il danno di natura non patrimoniale, diverso dal danno biologico, che si caratterizza da effetti negativi sulla salute e sul benessere generale del lavoratore e deriva dal mancato riconoscimento del diritto al riposo, garantito costituzionalmente. Ai fini della sua risarcibilità, presuppone la sussistenza di un pregiudizio concreto patito dal lavoratore leso; quest’ultimo dovrà quindi fornire la prova del danno anche attraverso presunzioni semplici (sarà sufficiente dimostrare il mancato rispetto, da parte del datore di lavoro, dei limiti di orario di lavoro e del diritto al riposo). Il “quantum” del danno è determinabile anche in via equitativa, tenendo conto della gravosità della prestazione e delle eventuali indicazioni della disciplina collettiva; la corresponsione di maggiorazioni contrattualmente previste è considerata ai fini del risarcimento del danno.

 

***

 

Già nell’Accordo europeo dell’8 ottobre 2004 sullo stress sul lavoro, la disciplina dell’orario di lavoro era stato ritenuto uno degli aspetti determinanti dell’adeguatezza dell’organizzazione aziendale e dei processi lavorativi. In effetti, se non correttamente gestita, l’organizzazione del lavoro è fonte di stress tanto a livello dell’ambiente lavorativo generale quanto a livello di ogni singola persona.

I ritmi di lavoro sono quindi al centro dell’attenzione e la valutazione del loro impatto ad ogni livello è fondamentale, tanto nel caso in cui si è in presenza di indizi sintomatici di stress al quale si vuole porre rimedio (assenteismo alto, elevata rotazione del personale, riduzione della produttività, incremento di errori e incidenti…) sia nel caso in cui si intende mantenere un elevato tasso di benessere in seno alla propria struttura.

La versione inglese dell’articolo è disponibile a questo LINK

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