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Je suis Charlie, pas une marque

 

I tentativi di registrazione come marchio di “Je suis Charlie”

 

Come noto, lo scorso 7 gennaio Parigi è stata ferita al cuore da un feroce attacco terroristico culminato con l’assalto alla redazione del giornale satirico Charlie Hebdo. Tali fatti hanno profondamente scosso l’opinione pubblica mondiale, che in vari modi ha espresso la propria vicinanza alla redazione di Charlie Hebdo e, più in generale, alla Francia tutta. Una delle modalità, forse la più immediata, per esprimere tale solidarietà è consistita nell’utilizzo e nella condivisione, soprattutto attraverso i social network, della frase “Je suis Charlie” coniata e diffusa, in una particolare veste grafica, da Joachim Ronchin, direttore artistico della rivista francese Stylist, a poche ore dalla strage.

 

Questa scritta, grazie all’immediata diffusione attraverso i media e i social network, è divenuta in poche ore un vero e proprio simbolo della difesa della libertà d’espressione. La notorietà di tale simbolo ha tuttavia fatto intravedere ad alcuni la possibilità di utilizzarlo per scopi meramente commerciali. Ciò si è tradotto nel deposito di svariate decine di domande di marchio, che riproducono la scritta sopra raffigurata, presso diversi Uffici Marchi e Brevetti nel mondo, tra cui quello francese, statunitense, australiano e del Benelux. Lo sdegno che ha accompagnato tali iniziative, poco rispettose del dolore e della commozione per i fatti di Parigi, ha determinato una netta presa di posizione da parte di alcuni Uffici Marchi e Brevetti, solitamente restii a pronunciarsi preventivamente sulla registrabilità dei marchi al di fuori delle modalità istituzionali. La più significativa di queste prese di posizione è senz’altro quella dell’Ufficio per l’Armonizzazione del Mercato Interno (UAMI), l’agenzia che si occupa della registrazione dei marchi comunitari, che, pur non avendo ricevuto domande di marchio contenenti la scritta “Je suis Charlie”, ha dichiarato che, in ogni caso, tali domande verrebbero probabilmente fatte oggetto di opposizione da parte dell’UAMI stessa. Ciò in quanto si tratterebbe di marchi contrari all’ordine pubblico o ai principi della morale (art. 7 (1) (f) Regolamento 207/2009) o comunque mancanti della necessaria capacità di distinguere prodotti o servizi (art. 7 (1) (b) Regolamento 207/2009). La stessa linea è stata sposata dall’INPI, l’Ufficio Marchi e Brevetti francese, il quale, in pochi giorni, ha ricevuto circa cinquanta domande di marchio contenenti la scritta “Je suis Charlie”. Ebbene, l’INPI ha dichiarato che tutte queste domande verranno rigettate poiché il segno “Je suis Charlie” è da ritenersi privo della capacità di distinguere prodotti o servizi. A tal riguardo, l’INPI ha posto l’accento sul fatto che una frase così ampiamente utilizzata dalla collettività non può essere “catturata” da un operatore economico. Anche l’USPTO, l’Ufficio Marchi e Brevetti statunitense, ha dichiarato di aver ricevuto due domande di marchio contenti la scritta in questione, ma, ad oggi, non ha preso una posizione ufficiale sulla loro registrabilità. Ciononostante, alcuni precedenti portano a ritenere che anche tali domande verranno rigettate. E’ infatti recente il rigetto della domanda di registrazione del marchio “Boston Strong”, frase divenuta celebre dopo l’attentato terroristico alla maratona di Boston dell’aprile 2013. In tal caso, l’USPTO ha sottolineato che tale frase, in quanto portatrice di un messaggio di natura politica o sociale, non è idonea a distinguere beni o servizi. Per simili ragioni, l’USPTO ha altresì rifiutato la registrazione del marchio “Hands Up, Don’t Shoot” ispirato al drammatico scambio di battute tra un poliziotto e un ragazzo di colore, la cui uccisione a Ferguson ha determinato l’infuocarsi di una rivolta che per settimane ha infuocato l’ormai celeberrima cittadina del Missouri. Non vi è dubbio che ogni tentativo di registrare marchi consistenti in frasi celebri di natura politica, religiosa o sociale sia mosso da una poco commendevole volontà di trarre profitto dalle tragedie che li hanno ispirati. Ed è altrettanto chiaro che domande di marchio di tal genere verranno molto probabilmente rigettate dalle autorità competenti, per i motivi più sopra esaminati. Ciò, almeno, finché è recente il ricordo dell’evento che ne ha costituito l’ispirazione. Esempi del passato, infatti, indicano che anche le frasi celebri, una volta venuta meno l’emotività dell’evento, possano assurgere alla funzione di marchio. E’ il caso, ad esempio, del marchio comunitario “Ich bin ein Berliner” (“Io sono un berlinese”), regolarmente registrato per “birre”, che riprende una celebre frase che J.F. Kennedy pronunciò nel 1963 a Berlino per testimoniare la sua vicinanza alla Germania post-bellica. Tale marchio non è mai stato fatto oggetto di opposizione da parte dell’UAMI. E’ dunque il tempo il vero arbitro della nascita di marchi “politici”.

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