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I limiti dei poteri istruttori del CTU: due recenti e contrastanti pronunce della Suprema Corte

di Caterina Sola e  Eugenio Cisa di Grésy

I limiti dei poteri istruttori del CTU sono spesso fonte di dibattito sia in dottrina che in giurisprudenza e costituiscono un tema di importante rilevanza pratica nell’attività processuale.

La Corte di Cassazione si è recentemente dedicata a questa vexata quaestio in due diverse pronunce contrastanti fra di loro, la n. 31886 del 6 dicembre 2019, emessa dalla III Sezione civile, e la n. 2671 del 5 febbraio 2020, a cura della II Sezione civile.

La prima sentenza parrebbe por fine agli ancora frequenti tentativi di introdurre nuova documentazione agli atti nel corso delle operazioni peritali.

In particolare, la prima pronuncia riguarda un giudizio avente ad oggetto un caso di responsabilità medica instaurato dalla figlia di una paziente deceduta contro i sanitari.

In tale procedimento, il consulente nominato in grado d’appello per la rinnovazione della CTU, non avendo rinvenuto nei fascicoli la copia della cartella clinica della paziente prodotta dall’attore, aveva acquisto la cartella clinica della paziente deceduta fornita dalla parte convenuta a termini ormai decorsi, rivelatasi, in seguito, difforme rispetto a quella depositata dalla parte attrice.

Nella sentenza, la Suprema Corte, dopo aver identificato tre diversi orientamenti sul tema dei poteri istruttori del CTU, ritiene di aderire al più restrittivo dei tre, in quanto più coerente con il principio di parità delle parti di fronte al giudice e di ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., all’art. 6 CEDU.

Nello specifico, la pronuncia stabilisce che “Debbono dunque affermarsi, in conclusione di quanto sin qui esposto, i seguenti principi di diritto:

(a) il c.t.u. non può indagare d’ufficio su fatti mai ritualmente allegati dalle parti;

(b) il c.t.u. non può acquisire di sua iniziativa la prova dei fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione, né acquisire dalle parti o da terzi documenti che forniscano quella prova; a tale principio può derogarsi soltanto quando la prova del fatto costitutivo della domanda o dell’eccezione non possa oggettivamente essere fornita coi mezzi di prova tradizionali;

(c) il c.t.u. può acquisire dai terzi soltanto la prova di fatti tecnici accessori e secondari, oppure elementi di riscontro della veridicità delle prove già prodotte dalle parti;

(d) i principi che precedono non sono derogabili per ordine del giudice, nè per acquiescenza delle parti;

(e) la nullità della consulenza, derivante dall’avere il c.t.u. violato il principio dispositivo o le regole sulle acquisizioni documentali, non è sanata dall’acquiescenza delle parti ed è rilevabile d’ufficio….

Al contrario, nella sentenza n. 2671/2020, la Corte di Cassazione ammette la possibilità per il CTU di acquisire ogni elemento necessario per espletare l’incarico affidatogli, anche se risultanti da documenti non prodotti in giudizio, “purché integri ed affidabilissimi”.

Il giudizio aveva ad oggetto i vizi di produzione della cosa venduta (nello specifico una fornitura di alamari). Tale merce era stata rifiutata dalla ditta ricevente in quanto difettosa e comunque difforme rispetto a quanto concordato, e, pertanto, entrambe le parti avevano depositato in giudizio dei campioni del bene oggetto di contestazione.

Il CTU aveva, quindi, acquisito autonomamente presso la sede della società venditrice la scatola respinta dalla ditta acquirente, mai prodotta in giudizio, ed esaminato il relativo contenuto, poneva tale esame alla base delle proprie conclusioni, accolte in seguito dal Tribunale e dalla Corte d’Appello.

La Corte, discutendo sulla procedibilità o meno della disamina e dell’utilizzo del CTU di documenti mai ritualmente e tempestivamente prodotti in giudizio dalle parti, ha, quindi, statuito che “rientra nel potere del consulente tecnico d’ufficio attingere aliunde notizie e dati non rilevabili dagli atti processuali quando ciò sia indispensabile per espletare convenientemente il compito affidatogli […] sempre che non si tratti di fatti costituenti materia di onere di allegazione e di prova delle parti, poiché in tal caso, l’attività svolte dal consulente finirebbe per supplire impropriamente al carente espletamento ad opera delle stesse, dell’onere probatorio, in violazione dell’art.2697 c.c.“.

In un secondo momento, la Suprema Corte ha, tuttavia, riconosciuto valida l’attività istruttoria del CTU dichiarando che “”la relazione tecnica depositata dal consulente il 13/32012 (p. 4), a cui la Corte accede direttamente in ragione della natura processuale del vizio denunciato, dimostra, in effetti, come il consulente tecnico abbia ritenuto necessario, al fine di rispondere ai quesiti affidatigli, l’esame degli 843 alamari : tant’è che lo stesso consulente […] proprio alla luce di tale esame (oltre che degli alamari ritirati presso la Visconf) ha ritenuto che la quasi totalità degli stessi non presentava vizi “né evidenti né occulti”. L’acquisizione dei predetti alamari risulta, pertanto, in linea con i principi appena richiamati, onde nessun errore in procedendo sussiste sul punto nella sentenza impugnata.”

Pertanto, quest’ultima pronuncia, nonostante abbia richiamato alcuni ben noti indirizzi giurisprudenziali, nonché i limiti ai poteri istruttori del CTU, risulta che abbia permesso de facto la possibilità d’ingresso in giudizio di elementi probatori acquisiti dal consulente, al di fuori dei termini istruttori.

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