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È diffamatorio non aggiornare una notizia online con evoluzioni favorevoli

 

La Corte di Cassazione condanna il Codacons al risarcimento del danno per non aver aggiornato un articolo pubblicato sul proprio sito web con la notizia del proscioglimento dell’indagato (Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 31 ottobre – 30 dicembre 2014, n. 27535 , Presidente Petti – Relatore Sestini)

 

Sono state pubblicate il 30 Dicembre scorso le motivazioni della sentenza n. 27535, con la quale la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione ha confermato la condanna al risarcimento, inflitta dalla Corte di Appello di Roma nella misura di 30.000,00 euro al Codacons (Coordinamento delle Associazioni per la Difesa dell’Ambiente e dei Diritti degli Utenti e Consumatori) per non aver aggiornato – o meglio, per non aver evidenziato gli sviluppi, favoreli al protagonista, nello stesso contesto riservato alla notizia originaria – in un articolo che riportava l’apertura di una inchiesta giudiziaria a carico di un dirigente responsabile dell’Istituto Superiore della Sanità.

L’associazione per la tutela dei diritti dei consumatori era stata convenuta in giudizio circa due anni fa per aver pubblicato, sulle pagine del proprio sito web, un comunicato dal titolo «Il grande tranello», con il quale dava conto dell’apertura di un indagine della Procura della Repubblica di Roma per verificare la correttezza del lavoro svolto dal direttore generale dell’Istituto superiore di Sanità, nonché di un suo collaboratore. A destare perplessità era stato, in particolare, il fatto che il ricercatore, che aveva il compito di controllare la nocività delle onde elettromagnetiche, fosse stato in passato dirigente di un’associazione privata, finanziata da una società produttrice di telefonini cellulari. Accusato nel corpo del post di aver «da sempre pubblicamente avallato il comportamento dei suoi collaboratori», il direttore generale aveva dunque citato in giudizio varie testate giornalistiche e non, tra cui anche Mediaset ed il Codacons, chiamandole a risarcire i danni asseritamente causati.

La notizia, in effetti, risultava corretta solo al momento della sua prima diffusione, in quanto dava atto dell’apertura dell’indagine penale, così rispondendo ai necessari requisiti di correttezza, completezza e interesse pubblico. Lo stesso medesimo contenuto, tuttavia, aveva assunto secondo l’attore, carattere diffamatorio, dal momento in cui era stato riproposto tempo dopo, senza integrare quanto inizialmente comunicato con l’informazione che l’inchiesta si era chiusa in favore dei due indagati. Ad opinione dei giudici di merito prima, e della Cassazione poi, il mancato aggiornamento del comunicato aveva leso la reputazione del dirigente attraverso informazioni non più attuali e tali da fornire «all’utente un’immagine distorta ed incompleta dei fatti».

La Corte di Cassazione ha ritenuto ininfluente, inoltre, che la notizia del proscioglimento degli indagati fosse stata data sulle stesse pagine del sito del Codacons, seppur all’interno di una differente sezione, dedicata alle problematiche attinenti l’elettrosmog. Per gli ermellini, la correttezza e completezza dell’informazione «avrebbe richiesto che la notizia fosse evidenziata nello stesso contesto o quanto meno alla fine del comunicato», anche tenendo conto della sostanziale immanenza dei contenuti web e del fatto che essi, a differenza delle pagine di un quotidiano, restano facilmente consultabili dal pubblico anche a lunga distanza dalla loro pubblicazione.  

Respinta dunque la tesi del Codacons, secondo la quale il contenuto pubblicato non integrava alcuna violazione, dovendo considerarsi semplicemente lecita espressione del diritto di critica e di libera manifestazione del pensiero.

Al vaglio della Suprema Corte non ha trovato accoglimento neppure l’ulteriore eccezione, relativa alla quantificazione del danno, secondo la quale i giudici di merito non avrebbero richiesto alla parte lesa la prova del pregiudizio concretamente patito: «stando alle motivazioni depositate a corredo della conferma della sentenza di Corte di Appello, questa circostanza può sufficientemente essere accertata in via presuntiva e non risulta dunque violato il principio secondo cui anche il danno non patrimoniale costituisce danno conseguenza che deve essere allegato e provato (Cass., S.U. n. 26972/2008), giacché l’affermazione della Corte di merito circa il fatto che il danno, in casi del genere, è in re ipsa postula comunque un preventivo accertamento – ancorché presuntivo – dell’esistenza della lesione (in conformità a Cass. n. 6507/2001 e Cass. n. 20120/2010)».

Del resto, già la Corte d’Appello di Roma aveva correttamente fatto riferimento alle «notorie sofferenze» di un soggetto del quale era stata fornita un’immagine biasimevole sotto il profilo etico, e che sia stato additato «come una persona sulla cui condotta professionale si stava indagando», con un sicuro ed evidente danno in campo professionale e relazionale. Di nessun rilevo, infine, l’argomento sul numero di accessi alla notizia, circa 300 mila, considerato dal Codacons non effettivo senza la prova che tutti gli utenti avessero letto il comunicato.

Per i giudici, infine, la somma liquidata non è risultata eccessiva, anche in considerazione della qualifica rivestita dall’alto dirigente del massimo organo scientifico preposto alla tutela della salute pubblica. Il risarcimento quantificato in via equitativa nei precedenti gradi di giudizio, era da ritenere, pertanto, adeguato, in considerazione di molteplici elementi, tra cui «il contenuto del comunicato, la particolare qualifica rivestita dal dirigente, nonché la potenziale alta diffusività del messaggio denigratorio».

In pieno dibattito parlamentare sulla necessità di rivedere la normativa, tanto civile quanto penale, disciplinante il fenomeno della diffamazione e prevedere meccanismi di rettifica che garantiscano, più che la persecuzione dell’autore degli scritti diffamatori, la tutela dei diritti delle persone offese, la pronuncia resa in questa sede fornisce un interessante spunto di riflessione, che potrebbe contribuire a calibrare più proficuamente il prossimo, atteso, intervento del legislatore.

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