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Danno da mancato consenso al trattamento sanitario: lo stato dell’arte tra pregiudizi risarcibili e oneri probatori

Il consenso del paziente costituisce imprescindibile presupposto di liceità di ogni atto compiuto in ambito sanitario. L’alleanza terapeutica che si instaura tra medico e paziente deve infatti necessariamente fondarsi sull’informazione al paziente e sulla sua preventiva e consapevole accettazione del trattamento terapeutico.

Ogni paziente ha il diritto di ricevere dettagliate informazioni sul proprio stato di salute, sulla natura, le caratteristiche e i possibili sviluppi delle terapie consigliate dal medico, sulle eventuali alternative terapeutiche, oltre che, ovviamente, sui rischi, anche solo eventuali, collegati al trattamento prospettato.

Conseguentemente grava sul medico, prima di compiere qualunque atto della sua professione, l’obbligo di raccogliere il consenso del paziente all’esecuzione del trattamento sanitario, fornendogli informazioni quanto più chiare, esaustive e complete possibili, anche tenendo conto del suo stato emotivo e delle sue concrete capacità di comprensione.

La manifestazione del consenso da parte del paziente è espressione del suo diritto all’autodeterminazione e al compimento, in ambito sanitario, di scelte libere e incondizionate (art. 32, c. 2, Cost.). Si tratta evidentemente di un diritto distinto, autonomo e ulteriore rispetto a quello alla salute e all’integrità psico-fisica, pur non potendosi escludere interferenze tra i due aspetti.

Ben potrebbe darsi infatti che un intervento per cui non è stato raccolto il consenso informato possa portare a un pregiudizio per la salute del paziente, in conseguenza di un atto colposo compiuto dal medico oppure di un evento avverso imprevedibile e quindi in alcun modo prevenibile.

La giurisprudenza riconosce quindi all’omissione informativa una “capacità pluri-offensiva”, potendo incidere (i) sulla sola autodeterminazione del paziente, se dal trattamento sanitario compiuto in assenza di consenso non è derivata alcuna lesione alla sua integrità psico-fisica; (ii) sull’autodeterminazione e sul diritto alla salute, se viceversa dall’intervento non concordato sono derivate sul paziente conseguenze invalidanti.

La Suprema Corte, con evidente intento sistematizzante, ha da tempo tentato di individuare (da ultimo con Cass. 28985/2019) tutte le ipotesi di danno che possono derivare dalle omissioni informative:

1) il medico non informa il paziente in merito ad un intervento che, a causa di un errore colposo, cagiona un danno alla sua salute. In quest’ipotesi il danno risarcibile dipende dalla scelta che il paziente avrebbe compiuto a fronte di una completa ed esaustiva informazione da parte del sanitario (e ovviamente alla sua capacità di dimostrarla in giudizio): se la corretta informazione avrebbe portato il paziente a rifiutare l’intervento, il risarcimento comprenderà tanto la lesione del diritto alla salute, quanto quella del diritto all’autodeterminazione; nel caso opposto, il danno risarcibile sarà limitato al solo pregiudizio alla salute patito dal paziente;

2) il medico non informa il paziente in relazione a un intervento che determina un aggravamento delle sue condizioni preesistenti, a causa della condotta non colposa del medico. Anche in questo caso vale la dicotomia presentata al punto precedente: se la corretta informazione avrebbe portato il paziente a desistere dall’operarsi, verrà liquidato in suo favore un risarcimento che comprenderà il danno da violazione all’autodeterminazione e il danno biologico “differenziale” derivante dal maggior pregiudizio causato dall’intervento e il preesistente stato patologico; se invece, anche a fronte di corretta informazione, il paziente avrebbe comunque accettato l’intervento, nessun risarcimento gli sarà dovuto;

3) il medico non informa il paziente in merito a un trattamento diagnostico che non gli causa pregiudizio alla salute, ma gli impedisce di accedere a più accurati e attendibili accertamenti. In tal caso, il danno da lesione del diritto alla autodeterminazione sarà risarcibile se il paziente riuscirà a dimostrare in giudizio che dall’omessa informazione del medico sono derivate conseguenze dannose, in termini di sofferenza soggettiva e contrazione della libertà di disporre di sé stesso, psichicamente e fisicamente.

Ovviamente per accedere al risarcimento da lesione dell’autodeterminazione, il paziente è tenuto a dimostrare in giudizio che, ove correttamente informato, egli avrebbe rifiutato il trattamento invece subito contro il proprio consenso.

Si tratta di una prova certamente complessa, anche se la giurisprudenza ha chiarito che può essere assolta attraverso presunzioni o la dimostrazione di fatti incompatibili con il consenso al trattamento terapeutico (ad esempio l’esistenza di impegni personali o professionali non differibili e quindi incompatibili con i postumi dell’intervento sanitario).

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