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Update | Investimenti esteri diretti: una decisione notevole della Corte di giustizia europea

1. La sentenza

Il Ministro dell’Innovazione e della Tecnologia ungherese aveva vietato a Xella Magyarország, una società ungherese di proprietà di un cittadino irlandese ma facente parte di un gruppo di società con sede alle Bermuda, di acquisire la totalità delle quote della Janes és Társa, una società ungherese che si occupa di estrazione di materie prime come ghiaia, sabbia e argilla. La motivazione addotta a tale divieto era la sicurezza dell’approvvigionamento di materie prime per il settore edile e il suo impatto sull’interesse nazionale.

La Corte di giustizia europea ha però stabilito che il Regolamento (UE) 2019/452, che regola gli investimenti esteri diretti nell’Unione, non si applica agli investimenti effettuati da società registrate in uno Stato membro dell’UE e controllate da un investitore di un Paese terzo. Adottando un’interpretazione restrittiva, la Corte ha infatti stabilito che solo gli investimenti in società dell’UE da parte di investitori extra-UE (soggetti giuridici stabiliti al di fuori dell’UE) sono soggetti al Regolamento. Pertanto, la misura ungherese, che comprende sia gli investimenti provenienti da Paesi terzi sia gli investimenti effettuati da imprese registrate in Ungheria o in un altro Stato membro sulle quali un’impresa registrata in un Paese terzo detiene un’“influenza maggioritaria”, non rientra nell’ambito di applicazione del Regolamento.

La CGUE ha inoltre affermato che la misura nazionale in questione costituisce una restrizione particolarmente grave alla libertà di stabilimento, in quanto vieta a una società dell’UE di acquisire una partecipazione in una società residente “strategica” per motivi di sicurezza e di ordine pubblico. Secondo la Corte, l’Ungheria non ha fornito prove sufficienti a giustificare che l’operazione costituisse una “minaccia effettiva e sufficientemente grave ad uno degli interessi fondamentali della collettività” (Paragrafo 66: “L’ordine pubblico e la pubblica sicurezza possono essere quindi invocati solamente in caso di minaccia effettiva e sufficientemente grave ad uno degli interessi fondamentali della collettività.”)

2. Prospettive

L’approccio della sentenza potrebbe suggerire che gli investitori di Paesi terzi in società dell’UE beneficeranno delle norme sulla libera circolazione sancite dal TFUE, mentre non rientreranno nel campo di applicazione del Regolamento una volta che effettueranno un secondo o un terzo investimento con la loro società ora UE. Il Regolamento si applicherebbe, quindi, solo al momento del primo ingresso di un investimento nell’UE.

Un’interpretazione così ampia potrebbe incentivare gli investitori di Paesi terzi a dirigere i loro primi investimenti in Stati Membri che hanno un approccio più flessibile allo screening degli investimenti esteri, nonché minare l’obiettivo stesso del Regolamento di vagliare gli investimenti stranieri alla ricerca di potenziali minacce alla sicurezza e all’interesse pubblico (quest’ultima, tra l’altro, era la posizione dell’Avvocato Generale Ćapeta, di cui però la Corte ha scelto di non tenere conto). Infatti, la decisione di investimento sarebbe sì adottata da un investitore con sede nell’UE (e quindi fuori dall’ambito di applicazione del Regolamento), ma indirettamente da una società non UE.

Inoltre, poiché la sentenza conferma un elevato standard nel giustificare qualsiasi decisione negativa (bloccare gli investimenti esteri o consentirli solo a determinate condizioni), i regimi nazionali che prevedono criteri permissivi per i governi nazionali per bloccare le operazioni, dovranno valutare se questi sono conformi al diritto dell’UE.

Certamente, la sentenza apre la via a possibili contestazioni di decisioni nazionali restrittive in ordine agli investimenti esteri. Ricordiamo come l’Italia abbia introdotto una normativa (cosiddetta golden power) via via più stringente nei confronti degli investimenti esteri, fino a prevedere per alcuni settori anche uno screening per acquisizioni da parte di soggetti comunitari, con ampia discrezionalità per il Governo.

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