Skip to content Skip to sidebar Skip to footer

ESG | Climate litigation: la Corte EDU condanna la Svizzera per inerzia climatica

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato la Svizzera per la violazione dell’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) – riguardante il diritto al rispetto della vita privata e familiare – affermando che lo Stato elvetico non ha adottato sufficienti misure per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici.

Il caso Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e altri c. Svizzera

Il caso Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e altri c. Svizzera era stato portato davanti alla Corte di Strasburgo dall’associazione svizzera Verein KlimaSeniorinnen Schweiz (“Anziani per la protezione del clima”), costituita da più di 2.000 donne ultrasettantenni col fine di promuovere un’efficace protezione del clima, nonché da quattro donne, tutte membri dell’associazione e di età superiore agli 80 anni, che lamentavano problemi di salute aggravati dalle ondate di calore, incidenti significativamente sulla loro vita, sulle loro condizioni di vita e sul loro benessere.

Dopo un primo tentativo davanti ai tribunali svizzeri, le donne si sono rivolte alla Corte EDU, sostenendo che la Confederazione svizzera non avesse adempiuto agli obblighi previsti dalla Convenzione di proteggere effettivamente la vita (articolo 2 CEDU) e di garantire il rispetto della loro vita privata e familiare, compreso il loro domicilio (articolo 8 CEDU). In particolare, hanno denunciato che lo Stato non ha adottato misure appropriate e sufficienti per raggiungere gli obiettivi di lotta al cambiamento climatico, in linea con i suoi impegni internazionali.

Nonostante la Corte abbia respinto il ricorso da parte delle quattro donne, che non soddisfacevano i criteri dello status di vittima ai sensi dell’articolo 34 della CEDU, ha accolto quello dell’associazione, rilevando che la CEDU prevede il diritto a una protezione effettiva da parte delle autorità statali contro i gravi effetti negativi dei cambiamenti climatici sulla vita, sula salute, sul benessere e sulla qualità della vita e ritenendo che la Svizzera avesse mancato di ottemperare ai suoi obblighi ai sensi della Convenzione in materia di cambiamenti climatici, violando così gli articoli 6 e 8 CEDU. Infatti, pur riconoscendo che le autorità nazionali godono di un’ampia discrezionalità in relazione all’attuazione di leggi e misure, la Corte ha ritenuto che le autorità svizzere non avessero agito in tempo e in modo appropriato per ideare, sviluppare e attuare le leggi e le misure pertinenti al caso in questione.

Quello della Svizzera non è però un caso isolato

Sebbene poi dichiarati irricevibili, lo stesso giorno la Corte si è pronunciata su due ulteriori casi riguardanti l’inerzia dello Stato (nel caso di specie, Francia e Portogallo) circa gli obblighi di prevenzione del riscaldamento globale, la quale – secondo i ricorrenti – comporta una violazione del diritto alla vita e del diritto al rispetto della vita privata e familiare. Ancora, un tribunale di Parigi ha stabilito che l’inazione della Francia in materia di clima e il mancato raggiungimento degli obiettivi di bilancio del carbonio hanno causato danni ecologici legati al clima, mentre un tribunale tedesco ha dichiarato incompatibili con il diritto alla vita e alla salute alcune parti della legge federale sulla protezione del clima.

Gli impatti avversi del cambiamento climatico sulla salute delle persone non rappresentano una tematica oggetto delle valutazioni e decisioni dei soli tribunali europei. Il Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite ha affermato per la prima volta che un Paese ha violato la legge internazionale sui diritti umani attraverso la politica climatica e l’inazione climatica (nel caso di specie, ritenendo che il governo australiano stia violando i suoi obblighi in materia di diritti umani nei confronti degli abitanti delle isole dello Stretto di Torre); la Corte Suprema indiana si è pronunciata su due casi aventi tematiche analoghe, affermando che le persone hanno il diritto di non essere impattate dalle conseguenze del cambiamento climatico nell’ambito dei loro diritti fondamentali e che il diritto ad un ambiente pulito non è riconosciuto solamente come componente dei diritti umani, ma è anche garantito da diversi trattati e accordi internazionali, tra cui l’Accordo di Parigi, dichiarato, recentemente, dalla Corte Suprema del Brasile,  trattato “sovranazionale” in materia di diritti umani.

Nel complesso, come già riportato all’interno del Global Climate Litigation Report: 2023 Status Review pubblicato dall’UNEP (il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente), il numero delle azioni giudiziarie in materia di cambiamenti climatici è in costante ascesa a livello globale. Basti pensare che dal 2017 al 2023 si è passati da 884 cause a 2.180: un dato che dimostra come i contenziosi sul clima stiano diventando uno strumento sempre più importante e diffuso per tutelare il rispetto dei diritti umani contro l’inerzia climatica e/o le violazioni delle politiche ambientali e climatiche da parte di governi e aziende private.

Leave a comment