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Un caso recente di denuncia di mobbing nell’attività sportiva professionistica: dinamiche dei rapporti tra calciatori...

Come in tutti i contesti lavorativi, anche nel mondo calcio – proprio per gli elevati interessi in gioco, soprattutto di natura economica – si registrano, sempre più di frequente, situazioni e casi in cui gli atleti professionisti, anche di grande fama e livello internazionale denunciano di essere stati vittime di condotte riconducibili a categorie ricorrenti nel mondo del lavoro e riconducibili a fattispecie sinteticamente definite come mobbing e/o demansionamenti.

Il caso di un calciatore di una nota società sportiva di Milano rappresenta solo l’ultimo di una serie di atleti professionisti che, nel mondo del calcio, hanno denunciato condotte illecite da parte dei club di appartenenza (ricordiamo solo alcuni tra questi: R. T. nei confronti del Siena Calcio, A. C. nei confronti delle società Roma e Sampdoria, V. I. nei confronti dell’Udinese, G. P. nei confronti della Lazio).

Si tratta di professionisti che a diverso titolo hanno convenuto le rispettive società di calcio, lamentando condotte discriminatorie e/o persecutorie, attuate da dirigenti e/o allenatori, finalizzate a costringerli ad accettare trasferimenti o rinnovi di contratto con ingaggi ridotti o inferiori.

Il rapporto tra professionista e società sportiva è qualificato come un rapporto di lavoro sportivo subordinato ed è disciplinato dalla Legge n.91/1981 (e successive modifiche), il rapporto, in quanto riconducibile al rapporto di lavoro subordinato è soggetto alle previsioni del codice civile (art. 2094 c.c.) ed alle altre fonti ordinarie che disciplinano i rapporti di lavoro (tra i quali il contratto collettivo, che per quanto riguarda i calciatori viene stipulato fra l’Associazione Calciatori e la Lega, con la supervisione della FIGC).

In base all’art. 91 delle NOIF (Norme Organizzative Interne FIGC) le società sono tenute ad “assicurare a ciascun tesserato lo svolgimento dell’attività sportiva con l’osservanza dei limiti e dei criteri previsti dalle norme federali per la categoria di appartenenza in conformità con il tipo di rapporto instaurato con il contratto o col tesseramento”. Ed ancora: “l’inosservanza da parte della società nei confronti dei tesserati degli obblighi derivanti dalle norme regolamentari e da quelle contenute negli accordi collettivi e nei contratti tipo, comporta il deferimento agli organi della giustizia sportiva per i relativi procedimenti disciplinari”.

L’art. 7 del Contratto Collettivo tra FIGC, LEGA NAZIONALE PROFESSIONISTI SERIE A e ASSOCIAZIONE ITALIANA CALCIATORI regola il diritto/obbligo del calciatore di allenarsi e prevede l’obbligo della società di  “fornire al calciatore le strutture idonee alla preparazione e mettere a sua disposizione un ambiente consono alla sua dignità professionale. In ogni caso il calciatore ha diritto a partecipare agli allenamenti ed alla preparazione precampionato con la prima squadra”.

D’altro canto, in base all’art. 10.6 del Contratto Collettivo “il Calciatore non ha diritto di interferire nelle scelte tecniche, gestionali e aziendali della Società”; sempre su tale tema l’art. 4 comma 4 della legge n.91 del 1981 prevede che “nel contratto individuale dovrà essere prevista la clausola contenente l’obbligo dello sportivo al rispetto delle istruzioni tecniche e delle prescrizioni impartite per il perseguimento degli scopi agonistici”.

Avv. Roberto Testa e Avv. Marco Enrico Gatti

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