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Global Compact sull’immigrazione: gestione condivisa dei flussi e integrazione “sostenibile”

Il Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration (GCM) è stato approvato il 10 dicembre durante la conferenza intergovernativa di Marrakech da 164 Paesi (sui 193 Stati membri delle Nazioni Unite).

Emiliano Giovine ha preso parte alla conferenza (in rappresentanza del nostro dipartimento Charity & Social Enterprises e di Tiresia, Politecnico di Milano), intervenendo alla presentazione della Policy Guide on Enterpreneurship for Migrants and Refugees, insieme con la Deputy Secretary General di UNCTAD (Isabelle Durant), la Deputy Director General di IOM (Laura Thompson), la Director of International Protection di UNHCR (Grainne O’Hara) e l’ex Director della World Bank (Uri Dadush). Il nostro coinvolgimento nell’ambito del Global Compact corona un lavoro e un contributo costante alla stesura della Policy Guide, sia per la parte di ottimizzazione del contesto normativo che per la creazione di meccanismi di misurazione dell’impatto sociale. Si tratta di una partecipazione molto significativa anche in relazione al dibattito generato dalla scelta dell’Italia e degli altri Paesi (tra cui Stati Uniti, Austria, Australia, Cile, Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Lettonia, Lituania, Slovacchia e Repubblica Dominicana) di non aderirvi.

Il leit motiv dei Paesi che hanno criticato il GCM è, sostanzialmente, la presunta generazione e agevolazione, da parte di quest’accordo, di indiscriminati e inarrestabili flussi di migranti economici e non, insieme con un progressivo indebolimento della sovranità nazionale su questi temi da parte dei Paesi aderenti.

La realtà però è, evidentemente, molto diversa. Il GCM, così come formalmente approvato a Marrakech, non è in alcun modo vincolante e, anzi, «sostiene la sovranità degli Stati» (come previsto dall’articolo 7 del preambolo). Inoltre, pur ribadendo la necessità di garantire a tutti i migranti il rispetto e la tutela dei diritti umani universali, all’articolo 4 distingue chiaramente i migranti economici dai rifugiati sottolineando la loro diversa disciplina giuridica. Ciò è ancor più vero se pensiamo che, come pochi ricordano, esiste un Global Compact specificatamente dedicato ai rifugiati il cui testo verrà formalmente approvato a New York nelle prossime settimane. 

Il GCM raccomanda, è vero, la necessità di cooperare e condividere oneri e soluzioni per garantire flussi ordinati, regolari e sicuri di migranti e individua 23 obiettivi che suonano più come raccomandazioni che come obblighi e che auspicano una gestione dei flussi più strutturata, trasparente e tutelante per i migranti, ma anche per i Paesi che si trovano ad accoglierli e ad ospitarli. 

È doveroso quindi chiedersi quali siano le ragioni per non aderirvi. Le motivazioni ufficiali avanzate dai vari Paesi che oggi compongono una sorta di “asse” contrario al GCM sono molto astratte e superficiali e non rispondono alla domanda.

Le effettive ragioni vanno quindi cercate più in profondità, nel substrato socio-politico dei Paesi contrari e nella crescente deriva nazionalista degli stessi. Il GCM, nelle parole del Presidente dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite Miroslav Lajčák, “can guide us from a reactive to a proactive mode. It can help us to draw out the benefits of migration and mitigate the risks. It can provide a new platform for cooperation. And it can be a resource, in finding the right balance between the rights of people and the sovereignty of States”.

Ebbene, chi ha scelto di non aderirvi non vuole farsi parte attiva in un processo di accoglienza e integrazione dei migranti più ordinata, sicura e legale. Non vuole cooperare per condividere equamente oneri e sforzi e non vuole conoscere, o meglio riconoscere, il potenziale beneficio che i Paesi ospitanti, potrebbero trarre da una simile regolarizzazione dei flussi. In poche parole, non vuole esporsi e supportare nessuna iniziativa che in qualche modo possa favorire l’integrazione dei migranti. Insomma, prima gli italiani, prima gli americani, prima gli australiani e via dicendo. 

Da qui l’esigenza e l’importanza di continuare a lavorare in ambito internazionale, europeo e nazionale per individuare meccanismi e strumenti innovativi dal punto di vista giuridico, economico e finanziario che possano scardinare, attraverso evidenze concrete, preconcetti e rifiuti aprioristici di un fenomeno assolutamente ed inesorabilmente endemico della nostra società.

Il nostro lavoro a supporto di UNCTAD nella stesura della Policy Guide trova conforto in alcuni degli obiettivi principali contenuti nel GCM. In particolare:

  • Mettere i migranti e le società in condizione di realizzare la piena inclusione e la coesione sociale
  • Eliminare ogni forma di discriminazione e promuovere un discorso pubblico basato su fatti e prove per plasmare la percezione della migrazione
  • Investire nello sviluppo delle competenze e favorire il riconoscimento reciproco di abilità qualifiche e competenze
  • Creare le condizioni affinché i migranti e le diaspore possano contribuire pienamente allo sviluppo sostenibile in tutti i Paesi
  • Promuovere il trasferimento più rapido, più sicuro e più economico delle rimesse e favorire l’inclusione finanziaria dei migranti

La Policy Guide individua infatti l’imprenditoria come strumento di integrazione di migranti e rifugiati stilando, nel solco degli SDGs, una serie di raccomandazioni di carattere giuridico, economico, finanziario, ma anche gestionale e sociologico affinché da documento di policy possa trasformarsi in practice generando sviluppo e integrazione sostenibili.

Come giuristi attenti alle dinamiche della social innovation, il nostro lavoro nell’ambito della Policy Guide e la nostra partecipazione al GCM, rappresentano una sfida cruciale ed un’occasione estremamente stimolante anche per proporre e testare, su una delle sfide più importanti della nostra storia, meccanismi di finanza ad impatto ed imprenditoria sociale con cui ci confrontiamo quotidianamente.

Una delle chiavi di volta di questo processo internazionale sul tema “migranti” non può che essere infatti l’incontro tra gli sforzi e gli attori del GCM ed il settore privato che, anche attraverso il GSG, si sta affacciando sempre con maggior forza e convinzione all’impact investing e che ha già individuato la tematica “migranti/rifugiati” come una delle principali sfide sociali da approcciare attraverso strumenti di finanza ad impatto. Basti pensare che all’ultima conferenza annuale di EVPA (European Venture Philanthropy Association) i NAB europei del GSG hanno presentato un progetto congiunto per la creazione di un Outcome Fund incentrato sull’integrazione dei rifugiati, sulla falsa riga del KOTO SIB finlandese, un Social Impact Bond lanciato in Finlandia nel 2015 che ha già garantito l’impiego e l’integrazione di 2.500 rifugiati.

È anche attraverso operazioni finanziarie innovative come questa che si può si può provare ad invertire una ricorrente e retorica narrazione che insiste sui migranti come mero peso, costo e pericolo per i contesti socio-economici nei quali approdano.

Raramente, come in questo momento storico, potrà capitarci di giocare il nostro ruolo attivo in un processo di evoluzione così innovativo e cruciale.

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