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Il Caso Ulbricht: Bitcoin, Deep Web e Silk Road

Il 2014 è stato l’anno della “criptomoneta”, una valuta decentralizzata la cui implementazione si basa sui principi della crittografia a chiave pubblica, detta anche asimmetrica. Pur essendo stati censiti oltre 500 tipi di valute virtuali, soltanto dieci possiedono una capitalizzazione di mercato che supera i 10 milioni di dollari e di una si è parlato costantemente, per motivi diversi che vedremo a breve, durante tutto l’arco del 2014: i Bitcoin. 

Dubito che molti di noi (io per primo) sappiano veramente cosa siano e, soprattutto, come funzionino i Bitcoin. Alcuni hanno provato a spiegarlo in modo semplice, altri in modo più complesso, ma se veramente si vuole capire cosa siano, il mio consiglio è di acquistarli.
Da un punto di vista legale, la natura virtuale e immateriale della criptovaluta che la differenzia considerevolmente dalla moneta elettronica come definita dalla Direttiva 2009/110/CE, genera dubbi interpretativi di natura fiscale, valutaria e penale che portano spesso a delle affrettate valutazioni giuridiche che rischiano di demonizzare uno dei fenomeni più innovativi che abbiamo avuto negli ultimi anni.
Tuttavia, è indubbio che i Bitcoin, grazie alla loro natura immateriale e potenzialmente anonima, sono stati scelti come “moneta ufficiale” per il commercio illegale che avviene nel deep web e sulle piattaforme ad esso connesse. Il Deep Web non è altro che è l’insieme delle risorse informative del World Wide Web non segnalate dai normali motori di ricerca a cui si può accedere solo utilizzando la rete di anonimizzazione TOR. Secondo le ricerche condotte da Bright Planet, una società Statunitense specializzata in materia, il Web è costituito da oltre 550 miliardi di documenti, mentre Google ne indicizza solo 2 miliardi, ossia meno dell’uno per cento. All’interno del Deep Web, sono presenti piattaforme come Silk Road che, sfruttando l’anonimato del sistema, sono diventate veri e propri portali per il traffico di stupefacenti in grado di consentire il commercio on line di ogni tipo di droga esistente al mondo.
Il 2 ottobre 2013, dopo anni di investigazioni, Ross Ulbricht, noto anche come “Dread Pirate Roberts”, è stato arrestato dall’FBI mentre stava studiando in una biblioteca di San Francisco. Le accuse erano quelle di aver fondato e gestito la piattaforma Silk Road: la cosa ha generato un notevole clamore, in quanto Ulbricht rappresenta il classico “ragazzo modello” americano. Laureato in fisica nel 2002 presso la Texas University, dopo aver conseguito master presso la Penn University, svolge presso la stessa Università l’attività ricercatore fino al 2010. Il processo contro Ulbricht è ancora in corso, ma l’FBI sembra avere prove schiaccianti relative alla sua gestione della piattaforma dedita al traffico di stupefacenti. I legali della difesa, invece, sostengono che tali prove siano state costruite ad arte e che Ross Ulbricht si sia dissociato da Silk Road non appena si rese conto della reale portata della piattaforma. Pochi giorni fa il classico colpo di scena: Nicholas Weaver, ricercatore di sicurezza per l’International Computer Science Institute di Berkeley, è riuscito, senza nemmeno avere accesso agli atti del processo, a dimostrare come Ulbricht abbia ricevuto circa 29 mila bitcoin (del valore attuale di circa 6 milioni di Euro) dalla piattaforma Silk Road tra il 5 luglio ed il 21 agosto 2013. Tutto questo perché i bitcoin attraverso la blockchain tracciano tutte le operazioni eseguite e, una volta in possesso della chiave privata di Ross Ulbrichtm, è possibile ricostruire tutti i passaggi di denaro, o meglio criptovaluta, effettuati. La semplicità con cui questo ricercatore ha dimostrato la provenienza illecita del denaro, prima ancora che i testimoni dell’accusa potessero mostrare al giudice e alla giuria le loro prove, fa comprendere come la preparazione tecnica e l’intuito investigativo siano, da sempre, gli unici strumenti in grado di superare gli ostacoli generati da un contesto tecnologico di grande complessità.
Il tempo ci dirà se Ross Ulbricht sia o meno la mente occulta che ha gestito fino al 2013 la piattaforma Silk Road. È un dato di fatto, tuttavia, che alcuni giorni dopo il suo arresto, è nato il sito Silk Road 2.0 gestito da Blake Benthall, noto anche come “Defcon”: un ragazzo di 26 anno che, nel suo profilo linkedin, dichiara di aver svolto la sua prima attività professionale a 10 anni come webmaster. Silk Road 2.0 è stato chiuso il 6 novembre 2014: lo stesso giorno in cui “Defcon” è stato arrestato.
In estrema sintesi, questa vicenda porta a tre considerazioni di fondo.
La prima, scontata, è che la rivoluzione digitale ha creato una generazione di ragazzi prodigio che hanno capito quanto possa essere redditizio sviluppare “modelli di business” illeciti nel mondo sommerso del Deep Web.
La seconda, meno scontata, è che, pur essendo abituati a forme sempre più evolute di mediatizzazione dei processi penali, è la prima volta che durante la fase di formazione della prova, un privato riesce a fornire delle evidenze ancora non discusse in aula. Questo secondo aspetto preoccupa quasi più del primo, in quanto rende ancora più confuso il confine tra verità processuale, verità storica e verità “mediatica”.
La terza, in conclusione, è che ci troviamo di fronte ad un processo di grande importanza anche per il futuro dei bitcoin. Quale che sia la natura giuridica dei bitcoin (moneta fiat, strumento finanziaro o bene), la criptovaluta è un mezzo di pagamento innovativo e ha delle caratteristiche tecniche di particolare utilità per lo scambio di beni e servizi in un mondo sempre più globalizzato. Ciò di cui ha bisogno non è di essere demagogicamente demonizzato, ma di essere, banalmente, regolamentato.

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